Roma, domestico schiavizzato in una villa sull'Appia, bastonato dai "padroni" e morso dai cani

Mercoledì 13 Febbraio 2019 di Adelaide Pierucci
Roma, domestico schiavizzato in una villa sull'Appia, bastonato dai "padroni" e morso dai cani
Se non si alzava dal letto all'alba, gli staccavano la luce, l'acqua o il riscaldamento. Se provava a ventilare che si rispettasse il giorno di riposo settimanale rischiava di finire bastonato. Contratto da domestico, a tempo indeterminato e con assegnazione di una depandance con 5 stanze, all'interno di una villa a ridosso del parco dell'Appia Antica. Il trattamento da servo, soggetto ad umiliazioni e ceffoni, spesso fatto inseguire da tre molossi e all'occorrenza costretto a coltivare cavolfiori o marjuana. Il compito più delicato: per ogni pianta che si ammalava arrivavano le strigliate. Angherie che i padroni di casa, una coppia di imprenditori romani, rischiano di pagare con una condanna.

I RICOVERI
I due, ieri, sono stati rinviati a giudizio dal giudice Andrea Fanelli con l'accusa di violenze domestiche e lesioni. Il domestico, un quarantenne bengalese, subì per oltre sei anni vessazioni e due ricoveri e nel 2016, ormai umiliato, aveva optato per la denuncia ipotizzando il reato di riduzione in schiavitù. Il pm Antonio Calaresu, titolare del fascicolo, valutate le circostanze, ha ricondotto il caso nei maltrattamenti e lesioni personali. «Sono stato assunto nel 2009 per lavorare 4 ore al giorno, ma lavoravo tutto il giorno, tutti i giorni», ha raccontato il domestico agli investigatori, «e ho sopportato ogni umiliazione finché ho potuto perché non volevo rinunciare a un tetto per me e mia moglie, ma anche a un contratto di lavoro. Tant'è che avevo taciuto quando sono stato morso dai cani, ma degli schiaffi in faccia non ne potevo più. Quando mi hanno bastonato mentre raccoglievo le olive, nell'autunno dello scorso anno, ho sporto denuncia e mi sono licenziato». Alla domanda perché il padrone della tenuta fosse così nervoso il bengalese, assistito dall'avvocato Elisabetta Sorze, ha ipotizzato un legame con la marijuana. «Si preparava delle sigarette che puzzavano. Io mi dovevo occupare della coltivazione delle piante», aveva spiegato. «La sera dovevo controllarle, innaffiarle e eliminare le foglie gialle. Se trovava qualche pianta malata mi picchiava». Una ricostruzione che era costata al proprietario della tenuta l'apertura di un altro procedimento penale. Ma l'aspetta pure un conto col giudice del lavoro: il domestico maltrattato rivendica 50.000 euro, tra straordinari, permessi e ferie non godute.
 
Ultimo aggiornamento: 11:42 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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