Matteo Messina Denaro morto, il boss aveva 61 anni: era malato di ​tumore al colon. In ospedale nipote, figlia e sorella

Era uno dei latitanti più temuti del mondo, da 30 anni presenza fissa nell’elenco stilato dal Viminale sui ricercati di massima pericolosità

Lunedì 25 Settembre 2023 di Marta Giusti
Matteo Messina Denaro, morto il boss di Cosa nostra a 61 anni: era malato da tempo di tumore al colon

È morto Matteo Messina Denaro, il boss di Cosa nostra che per oltre trent'anni è riuscito a nascondersi dietro coperture di altissimo livello. Con lui finisce un'era fatta di violenza e terrore, di vicende e relazioni inconfessabili, di equilibri sottilissimi che, a poco a poco, hanno portato la mafia a trasformarsi da realtà contadina a superpotenza criminale. L'intervento chirurgico per una occlusione intestinale subito l'8 agosto scorso era riuscito, ma il tumore al colon, in uno stadio avanzato, non ha lasciato scampo a U Siccu che è deceduto oggi all'ospedale San Salvatore dell'Aquila.

Il capomafia di Castelvetrano si trovava nella struttura ospedaliera dove era stato trasferito dal carcere di massima sicurezza del capoluogo abruzzese nel quale era recluso in regione di 41 bis dal 17 gennaio scorso. Le cure erano state chieste nelle scorse settimane anche dai legali e dai familiari. Alcuni parenti avevano fatto visita all'ex superlatitante: anche lui nelle passate settimane aveva inscenato una protesta per non lasciare il reparto di terapia intensiva. L'ultimo dei Corleonesi si è alla fine a arreso alla malattia, trascinando con sé, nel silenzio e nell'oblio della storia, alcuni dei misteri più cupi della nostro Pease.

 

L'arresto

Vicinissimo a Totò Riina, è stato per 30 anni il più importante latitante mafioso italiano fino al 16 gennaio 2023, quando Denaro è stato individuato e arrestato dai Carabinieri mentre era in day hospital alla clinica Maddalena di Palermo, una delle più note della città. Quando si è reso conto d'essere braccato, ha accennato ad allontanarsi. Non una vera e propria fuga visto che decine di uomini del Ros, armati e col volto coperto, avevano circondato la casa di cura. I pazienti, tenuti fuori dalla struttura per ore, erano resi conto solo dopo di quanto era accaduto e hanno applaudito i militari ringraziandoli. Stessa scena fuori dalla caserma Dalla Chiesa, sede della Legione, dove il procuratore di Palermo Maurizio de Lucia, l'aggiunto Paolo Guido, il generale del Ros Pasquale Angelosanto e il comandante palermitano del Raggruppamento Speciale Lucio Arcidiacono avevano tenuto l'oramai celebre conferenza stampa. Una piccola folla aveva atteso i pm e mostrato uno striscione con scritto: «Capaci non dimentica». Il boss imprendibile era stato catturato.

Chi era 

Uno dei latitanti più temuti del mondo, presenza fissa nell’elenco stilato dal Viminale sui ricercati di massima pericolosità ai quali danno la caccia le forze dell’ordine italiane, la primula rossa di Cosa nostra è stato capo del mandamento di Castelvetrano e per decenni si è imposto come uno dei capi assoluti della mafia. Nato a Castelvetrano (Trapani) nel 1962, nella valle del Belice, lavorava come fattore insieme al padre. Il suo padrino di cresima è Antonino Marotta, ex affiliato alla banda di Salvatore Giuliano. Soprannominato “U siccu”, il magro, o anche “Diabolik”, Messina Denaro, che a vent’anni è il pupillo di Totò Riina, inizia la scalata criminale nel 1989, quando viene denunciato per associazione mafiosa per la partecipazione alla faida tra i clan Accardo e Ingoglia di Partanna. Due anni dopo uccide Nicola Consales, proprietario di un albergo di Triscina, che si è lamentato con una sua impiegata, all’epoca amante di Messina Denaro, di «quei mafiosetti sempre tra i piedi».

Gli omicidi e il ruolo di Borsellino

È Paolo Borsellino, nel 1989, il primo a iscrivere il nome del boss in un fascicolo d’indagine. A indagare è il commissario di polizia di Castelvetrano, Rino Germanà: tenteranno di ucciderlo proprio per questo motivo. Nel 1992 Messina Denaro fa parte del commando composto da mafiosi di Brancaccio e della provincia di Trapani, inviato a Roma per mettere a segno un attentato nei confronti di Maurizio Costanzo e per uccidere Giovanni Falcone e il ministro Claudio Martelli. Nel luglio 1992, è tra gli esecutori dell’omicidio di Vincenzo Milazzo, capo della cosca di Alcamo. Pochi giorni dopo, strangola con le sue mani la compagna del boss, Antonella Bonomo, incinta di tre mesi. Nel 1993 è uno dei mandanti del sequestro del dodicenne Giuseppe Di Matteo, nel tentativo di impedire che il padre, Santino Di Matteo, ex-mafioso, collabori con gli inquirenti che stanno indagando sulla strage di Capaci. Dopo 779 giorni di prigionia, il piccolo Di Matteo viene strangolato e il cadavere viene sciolto nell’acido. Uno dei sequestratori, il collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza, dichiarerà poi che si erano travestiti da poliziotti della Dia e avevano ingannato il ragazzo, raccontandogli che lo avrebbero portato dal padre, che in quel periodo sotto protezione lontano dalla Sicilia. «Agli occhi del ragazzo siamo apparsi degli angeli, ma in realtà eravamo dei lupi - ha detto Spatuzza - Lui era felice, diceva: Papà mio, amore mio».

La figlia (mai conosciuta)

Si dovrebbe chiamare Lorenza Messina Denaro perché lei è la figlia di Matteo Messina Denaro. Ma ha deciso che può fare a meno di quel cognome scomodo. Lorenza Alagna, figlia di Francesca Alagna, ha deciso di scavare un bivio per portarsi, per quanto possibile, lontano dalle vicende del padre: «Non voglio saperne niente», aveva detto ai cronisti. Non ha mai conosciuto il padre e per questo ha sempre voluto ribadire la sua estraneità: lei è altro rispetto al boss stragista. Se ha deciso di amputarsi il cognome, il nome di battesimo - pure quello non si sceglie - è rimasto tale. Lorenza si chiama così perché porta il nome della nonna Lorenza Santangelo, la moglie di don Ciccio, Francesco Messina Denaro, il padre del boss. Non si sono mai conosciuti padre e figlia. Lorenza è il frutto della relazione con Francesca Alagna, sorella del commercialista di fiducia dell'ex patron della Valtur, Carmelo Patti, sospettato di essere un prestanome del padrino. «Non conoscere i propri figli è contro natura», scriveva Alessio, alias Matteo Messina Denaro che ha fatto strangolare e sciogliere nell'acido il figlio di un pentito. Scriveva di Lorenza a Svetonio, alias Antonino Vaccarino, in una corrispondenza poi finita sotto gli occhi degli investigatori che lo hanno cercato in tutti questi anni. Ma chi è Lorenza Alagna? Si sa che ha vissuto a Castelvestrano con la mamma. Nel 2013 compie 18 anni e dopo la maturità al liceo scientifico si iscrive all'università allontanandosi dalla casa di famiglia dove aveva vissuto fino a quel momnento. Oggi ha 27 anni e il 14 luglio 2021 ha avuto un bambino, con un giovane che lavora a Selinunte, che non porta il cognome Messina Denaro.

 

 

Le lettere

Le difficoltà di un uomo perennemente in fuga, sono testimoniate dalle discussioni familiari scolpite nelle poche lettere che sono state trovate dagli inquirenti. «Devi dire a tuo fratello che ha una figlia che a dicembre ha compiuto 11 anni e che è arrivato il momento che qualcosa pure a lei la scriva, perché adesso la ragazzina inizia a fare domande sul padre e lui non può continuare a ignorarla come ha sempre fatto, dimenticandosi anche del compleanno della figlia». Il fratello tenta di trovare scuse alle mancanze di Matteo: «Si vede che nel posto in cui si trova non può scrivere, non può mandare nulla». Del resto è lui stesso a difendere le sue scelte, in un'altra missiva nella quale rivendica per sé perfino il ruolo di difensore di una «giusta causa». «Devo andare via e non posso spiegarti ora le ragioni di questa scelta. In questo momento le cose depongono contro di me. Sto combattendo per una causa che oggi non può essere capita. Ma un giorno si saprà chi stava dalla parte della ragione...». Nella corrispondenza sequestrata in casa di Filippo Guttadauro, cognato e ufficiale di collegamento tra il boss latitante e il suo mondo, ci sono anche le appassionate lettere d'amore inviate a Matteo da una delle donne alle quali è stato legato sentimentalmente, Maria Mesi: «Ti amo e ti amerò per tutta la vita. Dal profondo del mio cuore ti amo, ti mando tantissimi baci. Tua per sempre». E un'altra missiva, inviata questa volta dal boss alla donna, svela invece una passione inedita del boss, quella per i videogiochi: «Desidero tanto farti un regalo. Sai, ho letto che è uscita la cassetta di Donkey Kong 3 e non vedo l'ora che sia in commercio per comprartela. Quella del Secret of Mana 2, ancora non è arrivata...».

 

Le passioni del boss

L’ultima volta che il boss di Cosa nostra viene visto libero, è nell’agosto del 1993, nel pieno degli attentati dinamitardi che sconvolgono l’Italia. Messina Denaro, mandante di quelle stragi insieme a Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca e ai fratelli Filippo e Giuseppe Graviano, è in vacanza a Forte dei Marmi. Da quel momento inizia la latitanza. Nel 1998, dopo la morte del padre Francesco, diventa capomandamento di Castelvetrano e rappresentante della provincia di Trapani in Cosa nostra. Le notizie sulla sua vita arrivano dai racconti dei collaboratori: appassionato di puzzle e di dolci, alcuni raccontano che è stato sottoposto a un intervento chirurgia plastica al volto, per non essere riconoscibile, altri dicono che si sia fatto rimodellare anche i polpastrelli, per cancellare le impronte digitali. Un informatore ha detto anche che il boss ha gravi problemi di salute: non ci vede quasi più ed è in dialisi.

Ultimo aggiornamento: 26 Settembre, 09:29 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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