Lo zio assassino: Sarah si è difesa
Dopo ho pregato sulla sua tomba

Lunedì 11 Ottobre 2010
Sarah Scazzi, uccisa dallo zio a 15 anni
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dal nostro inviato Nino Cirillo

AVETRANA (11 ottobre) - Il giorno in cui avrebbe ucciso e violentato la sua nipotina Michele Misseri si alz molto presto, alle tre e mezza, come ogni contadino che si rispetti. Due ore dopo - forse s’era gi levato il sole -, lo zio Michele era nei campi, «ai Cuturi». Tornò a casa per pranzo, «all’una e dieci, l’una e quarto», e alle due era in cantina, nella cantina a fianco della casa, in via Grazia Deledda, dalle parti del campo sportivo, dove solo mezz’ora più tardi avrebbe spezzato con la sola forza delle sue mani la giovane vita di Sarah Scazzi.



Qui comincia il film dell’orrore che ormai tutta Italia conosce. Qui si apre il verbale di 23 pagine rimasto finora segreto che racconta fatti già conosciuti, ma offre anche fotogrammi assolutamente inediti, una carrellata di violenza, di allucinazioni, di morte. Tutto Michele Misseri in questa cartellina, lo zombie di Avetrana che dopo una vita passata sott’acqua, a spaccarsi la schiena nelle vigne, viene fuori e uccide, e violenta, e nasconde. E alla fine prega, perché sulla tomba di Sarah Michele Misseri dopo il delitto è andato anche a pregare.



Sono le 2.15 del 7 ottobre quando comunicano a Michele Misseri che deve nominarsi un avvocato. Lui è da poco stato riportato negli stanzoni del Nucleo Investigativo dei Carabinieri di viale Virgilio, sul lungomare di Taranto, ha già confessato e fatto scoprire il corpo di Sarah, è il momento più convulso di quella notte, il più delicato. Lo zio Michele, però, non si scompone. Al procuratore aggiunto Argentino che insiste per avere una risposta («Intende nominare un difensore di fiducia?»), lui bofonchia in dialetto: «Eh mo’...». E infatti si rifugia in un legale d’ufficio, l’avvocato Daniele Galoppa di Grottaglie che lo sta ancora assistendo.



Il primo interrogatorio formale dell’assassino della piccola Sarah, dell’uomo che per 42 giorni ha giocato a rimpiattino con tutto il paese e con un esercito di investigatori, ora può cominciare. Michele Misseri dice subito - ed è un’affermazione incredibile - che Sarah «è scesa da sola» in quel locale buio e che lui se l’è vista «a meno di un metro». Quando la ragazzina gli ha girato le spalle lui ha preso la corda e gliel’ha «attorcigliata» intorno al collo. Per qualche lunghissimo minuto, questo si sapeva, «finché non l’ho vista barcollare in terra». Non si sapeva, però, che Sarah non è stata colta totalmente di sorpresa, che ha tentato disperatamente di difendersi, di togliersi quella corda, di spezzare la morsa. Lo racconta lo zio Michele: «Non c’è riuscita a mettere le mani tra il collo e la corda».



«Una corda fine era. Corda di quelle che mettono alla motosega o allo scopatrice - si dilunga l’imputato - era un resto di corda che avevo fatto, che veniva tagliata e la tenevo così». Ma si è reso conto, gli chiedono, di quel che aveva fatto? E lui impassibile aggira la risposta: «No, non è uscito sangue». Come descrivere un uomo così? E allora, cos’ha fatto dopo? «Ho fatto sparire la corda e ho preso la macchina. Stavo uscendo dal garage quando in quel momento prima di uscire ehm ehm ...è venuta Sabrina».



Ecco, a questo punto entra in scena Sabrina, figlia di Michele e cugina di Sarah, che scende in strada quando la povera ragazzina è già morta. E chiede notizie al padre - lui dice intorno alle tre meno venti - e lo prega: «Se viene, dille di aspettare, noi andiamo a cercarla». Michele Misseri racconta che Sabrina, con l’amica Mariangela e la sorellina più piccola di Mariangela, va e viene dalla casa per quattro volte. Ogni volta gli dice: «Se viene Sarah, falla aspettare», e lui, ogni volta, tranquillo annuisce.



Negli intervalli - anche questo ha dell’incredibile - riesce a occuparsi del corpo di Sarah: «L’ho coperta così, con un cartone che c’era là nel garage e l’ho lasciata dov’era, su un fianco laterale della cantina, che se uno si affaccia non la vede».



Non si ferma un attimo, però, lo zio Michele: «Allora ho aperto il portone a metà, ho preso la macchina, l’ho fatta entrare a marcia indietro, ho tolto tutto quello che c’era sul cofano, ma non tutta la macchina, l’ho fatta entrare a metà...». A quel punto carica la povera Sarah e non si preoccupa che la figlia potrebbe arrivare da un momento all’altro: «L’ho presa, l’ho stesa nel baule, poi ho messo il cartone che l’avevo coperta sopra. Non si vedeva niente».



Sono passate le tre, le ricerche sono davvero iniziate, Sabrina non tornerà presto da quelle parti, Michele può partire. «Si, stava già tutto preparato» ammette ancora. Non va subito alla cisterna, si ferma sotto un albero di fico distante trecento metri e spiega perché: «Era l’albero di fico di mio padre, quei terreni una volta erano di mio padre», forse ripercorrendo con la mente antiche angosce familiari. Chissà quali ricordi terribili l’avranno guidato, proprio lui che è stato anche emigrante in Germania e solo oggi si sa che lavorava da becchino in un cimitero tedesco.



Sotto il fico avviene la sudicia violenza. Lui spoglia Sarah e poi la riveste. E poi la spoglierà di nuovo quando deciderà di gettarla nella cisterna. Neppure questo si era mai saputo. Ai pm che gli chiedono quando esattamente ha pensato alla violenza, lui risponde: «Subito, in quel momento stesso, quando ho visto l’albero del fico. Poi l’ho messa di nuovo in macchina, abbiamo parcheggiato giusto vicino alle canne. Mi sono ricordato che avevo lavorato lì con mio padre e che c’era questo pozzo nascosto».



Dopo averla gettata lì dentro Michele brucerà tutto, lo zainetto, la ciabattine e i vestiti, brucerà tutto quel pomeriggio stesso ma un paio di chilometri lontano. Getterà la batteria lungo la strada e si terrà il telefonino di Sarah («L’ho messo in una stoffa di pezza» racconterà nel suo approssimativo linguaggio).



Quando i magistrati gli chiedono il perché tutti quei ripensamenti, il perché della decisione di bruciare i vestiti se la cisterna alla fine avrebbe reso irriconoscibile tutto, Michele Misseri ha l’unico ripensamento: «In quel momento mi è venuto così, dopo mi sono pentito perché li ho bruciati...». E comincia ad a dilungarsi sulla descrizione della tomba-cisterna, soprattutto a spiegare come decise di coprirla fino a renderla assolutamente introvabile.

Anche qui, tutto sembra carico di strani simbolismi. Ci mette un masso di tufo sopra, poi un ceppo della vigna, «così o la pietra o il ceppo mi avrebbe aiutato a riconoscere il posto». E infatti ci torna sul posto, non una ma tre volte, e sempre di pomeriggio, sempre più o meno all’ora di quello scempio. Ma a fare cosa? «Ho fatto qualche Ave Maria, il segno di croce e me sono andato...». Ecco, questo è Michele Misseri.



Sono le tre e mezza del 26 agosto. Si riavvia verso casa, ma «faccio il giro, scendo sotto, passo da un’altra parte, dalla secondaria che va a mare», dal famoso cognato che l’aspettava per andare a raccogliere i fagiolini. Era molto in ritardo, «ma lui non disse niente». Avrebbe raccontato tutto, Giuseppe Serrano, un mese più tardi ai carabinieri, aprendo una voragine nell’alibi dello zio Michele, spalancandogli le porte della galera.




Ultimo aggiornamento: 22 Ottobre, 01:20 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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