Assolti per lo stupro di una 15enne. La Cassazione: «Processo da rifare la vittima non è stata tutelata»

L'Aquila, gli indagati incastrati dalle intercettazioni avevano raccontato che la minorenne era consensiente

Domenica 24 Settembre 2023 di Valentina Errante
Assolti per lo stupro di una 15enne. La Cassazione: «Processo da rifare la vittima non è stata tutelata»

Una sentenza che risolve il consenso sessuale attraverso «una supina accettazione di stereotipi culturali ampiamente superati», e una Corte che ha messo in atto la «vittimizzazione secondaria della parte lesa», non credendo all’attendibilità della vittima, che al momento dello stupro aveva solo 15 anni.

La Cassazione, che ha ordinato un nuovo processo, demolisce con motivazioni durissime la sentenza della Corte d’appello dell’Aquila, che lo scorso anno ha assolto i due imputati dall’accusa di violenza sessuale su una minorenne. Per gli ermellini, i giudici hanno omesso di valutare tutte le prove, anche la presenza di tracce di liquido seminale dei due, all’epoca ventottenni, sulla maglietta della vittima. L’alpino e il suo amico ambulante erano stati condannati in primo grado con rito abbreviato a 4 anni per stupro. 

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VITTIMIZZAZIONE PARTE LESA
In primo luogo la Corte di Cassazione, presieduta da Luca Ramacci, bolla come «eccentrica» la scelta di portare in aula la vittima. «La vittimizzazione secondaria della giovane, sicuramente da considerarsi persona particolarmente vulnerabile, si è in effetti verificata ed è iniziata con la decisione di riassumere in contraddittorio l’esame della persona offesa, già escussa in incidente probatorio, scelta ancor più eccentrica laddove si consideri che gli imputati avevano optato per il rito abbreviato» Tanto più che la ragazza, dopo la violenza, aveva tentato due volte il suicidio.


IL CONSENSO
Ma i giudici non trovano convincente neppure l’accoglimento della versione degli indagati che, dopo avere negato anche di conoscere la ragazzina ed essere stati incastrati da intercettazioni e prove inequivocabili, hanno sostenuto che fosse consenziente. «La Corte non spiega in alcun modo come i due imputati ne avrebbero raccolto il consenso o non ne abbiano percepito il dissenso, posto che il dato innegabile è che entrambi gli imputati hanno avuto rapporti sessuali con la vittima la stessa sera». La sentenza d’appello, nella parte in cui precisa che la persona offesa ha riferito di avere bevuto qualche bicchiere di vino insieme agli imputati, ma non tanto da ubriacarsi e non ragionare, «sembrerebbe lasciare intendere, sia pure in modo larvato, una sorta di consenso implicito, soluzione ermeneutica - sottolineano gli ermellini - che sembrerebbe ravvisare la non punibilità degli atti sessuali compiuti in mancanza di un esplicito dissenso della vittima, finendo così per porre in capo ad essa l’onere di resistere all’atto sessuale che le viene imposto, quasi gravasse sulla vittima una presunzione di consenso agli atti sessuali da dover di volta in volta smentire, ciò che si risolverebbe in una supina accettazione di stereotipi culturali ampiamente superati».


LE PROVE
I giudici si soffermano ancora sulla versione degli imputati, ritenuta credibile: «Omette, inoltre, la Corte di appello di compiere qualsiasi valutazione sulla credibilità della versione alternativa fornita dai due imputati (salvo affermare, a che il fatto che non si siano mai sentiti telefonicamente dopo il fatto costituirebbe elemento in grado di dimostrare che il fatto non è successo), anche in relazione al loro comportamento processuale». Per la Cassazione i giudici di appello hanno omesso, nella loro valutazione, «di confrontarsi con i dati valorizzati dalla prima sentenza: hanno infatti proceduto alla demolizione dell’attendibilità intrinseca delle dichiarazioni della persona offesa per poi esaminare i soli dati estrinseci che confortavano la soluzione adottata, con un approccio contrario a quello che deve caratterizzare il «metodo scientifico» di ricerca della prova».
 

Ultimo aggiornamento: 26 Settembre, 10:01 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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