Roma, segretaria molestata dal capo si licenzia e denuncia tutto in una lettera. Lui l'accusa di diffamazione (ma viene condannato)

Domenica 24 Settembre 2023 di Andrea Noci
Roma, segretaria molestata dal capo si licenzia e denuncia tutto in una lettera. Lui l'accusa di diffamazione (ma viene condannato)

Lui era il suo capo, proprietario di una concessionaria di auto. Lei la sua segretaria. Ma c'è voluto molto poco prima che A.E. iniziasse ad abusare della sua posizione per molestare la ragazza, che di quel lavoro aveva bisogno. Prima le battutine, poi i baci sul collo. E ancora, effusioni assolutamente non richieste dalla vittima, per la quale il disagio cresceva giorno dopo giorno, fino a quando lui l'uomo le ha dato una pacca sul sedere. La goccia che fa traboccare il vaso, per la quale la ragazza si dimette dall'incarico. Per quelle molestie la prima sezione del Tribunale ha condannato il proprietario dell'autosalone a due anni di reclusione, ritenendolo responsabile di violenza sessuale aggravata e calunnia.

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LA LETTERA

Quando la ragazza si è licenziata, nella lettera di dimissioni, aveva motivato la decisione facendo riferimento alle molestie quotidiane e reiterate, culminate con quello schiaffo al fondo schiena. Dopo aver ricevuto le dimissioni, l'imputato l'aveva denunciata per diffamazione. E così, finita sotto accusa in un processo, la donna, rappresentata dall'avvocato Donata Sartori, si è fatta coraggio e ha deciso di denunciare, sia per le molestie che per la calunnia. Il giudice di pace, chiamato a decidere sulla diffamazione, aveva dato ragione alla ragazza, archiviando l'accusa e inviando gli atti in Procura. La vittima era lei e quello che aveva scritto nella lettera di dimissioni era la verità. A. E. ha ottenuto la sospensione condizionale.

LA VICENDA

Gli abusi iniziano nel marzo del 2018, poco dopo che la ragazza aveva cominciato a lavorare in quella concessionaria. «Con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso anche in tempi diversi, - si legge nel capo d'imputazione - costringeva la vittima con violenza e contro la sua volontà, a subire atti sessuali».
Lui la obbligava «ripetutamente a baciarlo, e in un'occasione, le toccava con violenza i glutei con la mano destra completamente aperta». Per la donna ogni volta era impossibile reagire. Quelle violenze erano repentine. All'uomo, che in aula, il giorno della sentenza si è presentato con le catenelle alla cintura e un giubbotto Harley-Davidson da centauro, è stata anche contestata l'aggravante di «avere commesso il fatto con abuso di prestazioni di servizio, poiché l'indagato era il datore di lavoro della persona offesa», sottolinea l'accusa. Quel luogo di lavoro, giorno dopo giorno, per la vittima era diventato un incubo. Dopo quella pacca, la ragazza non aveva avuto il coraggio di denunciare: la paura di non essere creduta e il timore che il fatto potesse essere derubricato a semplice goliardia, l'avevano portata solo a lasciare il lavoro da segretaria. Ma a scrivere, nero su bianco quello, nella lettera con la quale annunciava che non sarebbe più andata a sedersi dietro quella scrivania, le vessazioni subite. A. E. per tutta risposta, due mesi dopo le dimissioni, a novembre 2018, aveva di denunciarla per diffamazione. Per lui non era vero che la ragazza fosse «stata fatta oggetto di reiterate e sgradevoli attenzioni a carattere sessuale», come riportato nel capo d'imputazione. A quattro anni da quella pacca, un'altra sentenza, ha dato ragione alla ragazza.

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