Omicidio Andrea Bossi, la lettera di Michele Caglioni a La Vita in Diretta: «Aiutatemi a trovare l’arma del delitto, è la prova della mia innocenza»

Il racconto del ventunenne accusato dell'uccisione dell'amico, avvenuta lo scorso 27 gennaio a Cairate

Giovedì 4 Aprile 2024
Omicidio Cairate, la lettera di Michele Caglioni a La Vita in Diretta: «Aiutatemi a trovare l’arma del delitto, è la prova della mia innocenza»

Michele Caglioni, il ventunenne accusato assieme a Douglas Carolo dell’omicidio dell’amico Andrea Bossi avvenuto lo scorso 27 gennaio, ha affidato la sua verità ad una lettera inviata a "La Vita in Diretta", il programma condotto da Alberto Matano su Rai1.

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La lettera

«Sono Michele Caglioni Marangon - scrive - sicuramente mi conoscete tutti per l’omicidio di Andrea Bossi, ma ora vi voglio raccontare com’è andata quella sera e il mese dopo.

Quella sera, come altre, Douglas mi chiese un passaggio in monopattino. Arrivati a destinazione Douglas sale, da come sapevo io a casa di amici, e l’avrei dovuto aspettare fuori un’oretta per poi riaccompagnarlo. A un certo punto mi chiamò e mi disse di salire ma di non aprire la porta. Io salii e trovai la porta socchiusa, così aprii quella maledetta porta e davanti a me trovai Andrea in una pozza di sangue con Douglas sopra che gli teneva il coltello infilzato sulla gola. In quell’istante mi paralizzai istantaneamente. Lui non esitò ad alzarsi e a chiudere la porta. Pochi attimi dopo suonarono alla porta – continua il ragazzo – io mi ripresi un secondo dallo stato di shock, non ho avuto il tempo di reagire che Douglas estrae il coltello dal collo di Andrea, mi tappa la bocca e mi tiene il coltello alla gola per non poter chiedere aiuto. Poi ha iniziato a togliere tutto l’oro che Andrea aveva addosso. Dopodiché mi trascinò in giro per la casa nel tentativo di far sparire tutte le prove che potessero ricondurlo ad Andrea».

E proprio l’arma del delitto potrebbe ora scagionare Michele: «Io non ricordo esattamente dove ha buttato il coltello – scrive ancora – ma dovrebbe essere in un tombino nella zona del maglificio, a Cairate. E qui chiedo l’aiuto di tutti: quel coltello è la prova della mia innocenza, aiutatemi a trovarlo, vi prego» implora il ragazzo. «Poco dopo quella sera mi obbligò a fare un prelievo al bancomat, sempre sotto minaccia – continua – e i giorni successivi non avevo più una vita. Passavo e passo le mie notti tra incubi e attacchi di panico e in più lui non mi mollava un secondo. Minacce su minacce. Quando arrivai sul punto di crollare lui lo capì, così andò a casa dei miei genitori e distrusse il vetro del furgone di mio padre. Era solo un avvertimento. Pochi giorni dopo fummo arrestati e adesso mi trovo in carcere per un omicidio non commesso. Sono contento che ci abbiano arrestato quella mattina, così finalmente potevo dire tutto. Perché non sarei riuscito a vivere ancora a lungo tenendomi tutto dentro. Ora sono qui in carcere a Busto Arsizio, so che i miei cari mi sono vicini e mi stanno dando le forze per combattere per la mia vita. Prima o poi finirò le mie forze. Andrea non meritava di morire, e di sicuro non così. Nessuno ha il diritto di strappare la vita a un altro essere umano, non è giusto».

Ultimo aggiornamento: 8 Aprile, 10:39 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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