Sempre più spesso leggiamo sui titoli dei quotidiani che gruppi di giovani, identificati con il termine “Baby Gang”, mettono in atto comportamenti criminosi e devianti nei confronti delle persone o delle cose che incontrano soprattutto nei contesti urbani.
Baby, bambino nella nostra lingua, è un essere umano al quale in un certo senso siamo disposti a perdonare tutto quello che fa e ad essere quasi compiaciuti per le prodezze di cui si mostra capace. Risulta dunque inopportuno pensare che si possa trasferire nell’ambito dell’illecito e della criminalità chi per natura è collocato altrove; neppure l’accoppiamento con un termine così marcatamente criminale, come “gang” riesce a sporcare l’effetto di tenerezza che proviamo solo sentendo la parola bambino, baby.
Dunque la prima accortezza di cui dovremmo essere capaci quando prendiamo espressioni straniere è di valutare l’impatto che il trasferimento nudo e crudo di modi di dire genera nella nostra cultura, nella nostra immaginazione, nella nostra sfera valutativa. La lingua è l’insieme di suoni che raccontano chi siamo e come viviamo, come singoli e come comunità e pertanto dovremmo essere meno approssimativi quando usiamo idiomi di altri mondi.
C’è un secondo ordine di ragioni che rafforza la convinzione di abbandonare questa espressione diseducativa, per piccoli e grandi, ed è legata all’età anagrafica dei giovani facenti parte della gang. Leggendo gli articoli che li menzionano si apprende che si tratta di ragazzi dai quattordici ai diciassette anni di età circa, i quali la fase dell’infanzia l’hanno ampiamente abbandonata e forse per loro sfortuna mai neppure vissuta.
Allora perché ostinarsi a chiamarli bambini? Certo il nostro ordinamento giuridico ha giustamente previsto un sistema dedicato ai diritti dei minorenni e distinto da quello degli adulti, stabilendo tuttavia delle gradualità di responsabilità e di coinvolgimento diverso a seconda dell’età e dello sviluppo psicofisico. Definire bambini i ragazzi prossimi alla maggiore età ingenera confusione e non rappresenta correttamente il drammatico fenomeno di disagio che investe le giovani generazioni e per fortuna non interessa il mondo dell’infanzia.
Le parole sono importanti diceva qualcuno e se riguardano i minorenni ancora di più pertanto sarebbe più opportuno parlare di Teen-Gang.