Si può morire per amore dello sport,
ma non si può ucciderlo per vincere

Giovedì 9 Agosto 2012 di Edoardo Pittalis
Alex Schwazer a Bolzano
VENEZIA - Tra le poche cose vere dette da Alex Schwazer c’ che non ne poteva pi di fare il marciatore, che sognava una vita monotona senza essere costretto ad allenarsi ogni giorno per sette ore di fila. La sua catena di montaggio era la strada. Ma per correre lo pagavano molto meglio di un metalmeccanico e aveva anche un posto fisso da statale.



Era stufo e si dopava – dice - per non deludere chi credeva in lui. Ma anche, pensiamo, perché quando si sale così in alto non ci si rassegna alla normalità e vincere porta buoni contratti pubblicitari e non pochi privilegi. Chi perde è sempre solo e la solitudine è un avversario spesso imbattibile. Se Schwazer voleva mollare, gli sarebbe bastato ritirarsi. Invece, ha scelto altre strade e, poi, semplicemente è stato scoperto. Il marciatore ha detto pochissimo di nuovo, si è limitato a darsi del cretino, a far credere che uno come lui ordinava l’Epo per internet poi andava a comprarlo in Turchia.



Non ha fatto nomi, ha protetto eventuali complici. Chissà cosa avrebbe pensato un uomo che aveva tanta fiducia nello sport da comprare i biglietti per ogni giornata di gara a Londra. Conrad Coleman un inglese di 49 anni aveva preso due settimane di ferie per non perdersi niente, lo chiamavano “Olympic Superfan”. È morto d’infarto al Velodrome dopo aver applaudito il doppio successo britannico sulla pista. Si può morire per amore dello sport, ma non uccidere lo sport per vincere a tutti i costi.
Ultimo aggiornamento: 10 Agosto, 16:41 © RIPRODUZIONE RISERVATA