La storia/ Io, marinaio polesano a caccia
di Bin Laden dopo l'attentato alle torri

Domenica 11 Settembre 2011 di Ferdinando Garavello
Riccardo Evangelista
ROVIGO - Dieci anni passano in un soffio. La vita, nel frattempo, ti tiene occupato con mille novit e altrettante gatte da pelare. Le cose accadono continuamente e diventano subito ricordo, andando in archivio a prendere polvere. Ma qualche ricordo non se ne va mai. Non è possibile dimenticare gli aerei che si infilano tra le fiamme nelle torri gemelle. Inutile tentare di scordare il doppio simbolo di New York che collassa in una valanga di polvere. L'onda d'urto degli attentati fa il giro del mondo in un secondo e stravolge milioni di vite. Rivoltando come un guanto anche quella di Riccardo Evangelista, all'epoca maresciallo della marina militare italiana.



Dove era dieci anni fa, durante l'attacco terrorista agli Stati Uniti?

«Ero in licenza, stavo sulla poltrona del dentista. Me lo ricordo come fosse oggi. Ho sentito alla radio quel che stava accadendo ed ho subito capito che la storia, quella con la esse maiuscola, stava cambiando radicalmente. Mio padre ha fatto 40 anni in artiglieria a Rovigo, in un lungo periodo di pace ed ho capito che quel periodo era finito».



Quando è arrivata la chiamata?

«Mi hanno telefonato subito per dirmi che sarei partito a metà ottobre, e così è stato. Siamo partiti dal porto di La Spezia sul cacciatorpediniere Audace e ai primi di novembre eravamo già nella zona operativa».



In cosa consisteva la missione?

«Si trattava di un'operazione di controllo sul canale di Suez e in Afghanistan per la ricerca di terroristi, ma l'obiettivo principale era Bin Laden».



A che tipo di azioni avete partecipato?

«Partivamo in elicottero dalla nave e controllavamo altre navi sospette. Io avevo il compito di fermare le macchine. Tutta la nave veniva poi passata al setaccio. Se non trovavamo niente potevano andarsene tranquilli, altrimenti venivano portati in una località europea che è tuttora top secret. Abbiamo controllato un centinaio di navi in tre mesi e l'operazione è finita ai primi di marzo del 2002. Non abbiamo mai trovato niente sulle navi controllate».



Come era la vita sull'Audace?

«Non avevamo una base, non siamo mai rientrati in porto sino alla fine della missione. Facevamo rifornimento in mare di acqua, carburante e viveri. Abbiamo navigato per tre mesi senza sapere quando avremmo finito, in assetto di guerra e con una continua tensione addosso».



Cosa le hanno insegnato le esperienze di quei mesi in mare?

«Ho imparato a controllare la paura. Vincerla è impossibile, ma si può conviverci e controllarla. Ti dà la consapevolezza che può succederti qualcosa in ogni istante».



Cosa ha fatto quando è finita la missione?

«Sono corso a casa per fare gli esami per il concorso di polizia locale di Este, temevo di non riuscire ad arrivare in tempo».



Rifarebbe tutto?

«Ora sono sposato, ho altre priorità. Ma se dovessi tornare indietro nel tempo rifarei tutto allo stesso modo».



Quella missione è stata utile?

«È servita a poco, o addirittura a nulla. A me dà l'impressione che sia stata una cosa decisa d'istinto, una risposta immediata a quanto era accaduto».



Cosa pensa delle missioni di pace?

«Dal punto di vista del militare è una cosa che ti ordinano, e gli ordini non si discutono. Si parte e basta, con l'orgoglio di servire la propria bandiera. Per noi italiani ha anche un valore aggiunto, perché siamo sempre visti con un occhio di riguardo ovunque andiamo».



Ritiene giusta l'indignazione del Paese per i militari che perdono la vita durante le missioni di pace?

«Si tratta solo di una mancanza di rispetto per chi è morto obbedendo agli ordini, è una cosa davvero sbagliata. L'indignazione politica mi dà fastidio, perché trascura l'umanità della morte e sfrutta l'ennesima occasione per fare sempre e solo politica».



Che differenza passa tra fare il vigile e pattugliare le zone di guerra alla ricerca di terroristi?

«Nessuna, si serve in entrambi i casi il proprio Paese. Questo vale naturalmente se il lavoro è fatto con i dovuti criteri».



Il mondo è più in pace di quanto non lo fosse prima dell'11 settembre?

«No, assolutamente. Cose del genere possono ancora accadere, continuamente».
Ultimo aggiornamento: 14 Settembre, 01:45 © RIPRODUZIONE RISERVATA