«Alleno in Nigeria i ragazzi dimenticati»

Lunedì 28 Aprile 2014
«È da gennaio 2013 che vado lì in Nigeria, ad Abuja, la nuova capitale; a casa ci torno un quattro volte all'anno, 15-20 giorni al colpo. Lì da loro non ci sono i settori giovanili come da noi, loro hanno le academy e ci vanno i ragazzi di famiglie che possono pagare. C'è un imprenditore italiano che da molti anni ha una grande azienda in Nigeria e ha così pensato a questo progetto, di mettere in piedi qualcosa di sociale, un'altra accademia – diciamo così – ma senza scopo di lucro, giusto per i ragazzi che hanno meno, ragazzi di strada, che tra l'altro sono pure i più bravi. Li alleno e di ragazzi ne continuo a vedere a centinaia, i posti sono 50, con una qualità che mediamente è molto alta. Lì non è come da noi, non c'è il papà che sogna di avere un altro Del Piero e spinge e spinge. No, in Nigeria il calcio può davvero essere una soluzione di vita, questione proprio di sopravvivenza: una nazione giovane, età media molto bassa, famiglie con tanti figli e oltre a enormi motivazioni (sono proprio delle "spugne"), i ragazzi hanno una coordinazione motoria importante, non ne ho mai visti giovani così in Italia. C'è chi mi diceva che ero matto ad accettare e avevo poi anche avuto la possibilità di allenare qui in Italia, ma a parte il fatto che avevo dato la mia parola, c'è da dire che è un'esperienza che mi piace. È vero, bisogna avere tante precauzioni, c'è parecchia violenza in giro, controlli su controlli, ma è un qualcosa che mi sta dando parecchio. Sì, è un lavoro, mi pagano per quel che faccio e non sono uno che può vivere di rendita, ma devo dire anche che ho più di 50 anni, l'adrenalina delle partite mi può anche mancare un po', però per questi ragazzi sono davvero un riferimento e mi pare di dare un senso a quel che faccio, pensa, mi sento utile. Moglie a Castelfranco, una figlia ormai grande e c'è skype e il resto adesso, dai».
Renzo Gobbo (ex calciatore e allenatore)