«Mio figlio è presente con noi oggi e ci dà la forza di affrontare l'udienza».
La famiglia di Willy, sin da primi momenti dei terribili fatti di Colleferro, ha scelto di restare lontano dai riflettori del circo mediatico. Anche ieri non hanno nascosto il disagio per l'assedio dei giornalisti. E non sorprende quindi che i coniugi Duarte abbiano negato l'autorizzazione ad essere ripresi durante le udienze.
I genitori e la sorella hanno preso parte a tutte le manifestazioni pubbliche dedicate a Willy, ma lo hanno fatto sempre con discrezione. Quasi fosse questo l'unico argine per contenere lo strazio. Mai una parola di troppo in questi lunghi nove mesi in cui hanno dovuto fare i conti con un dolore indicibile, il più grande: un figlio strappato alla vita da una violenza senza senso consumata nell'arco di un minuto e 30 secondi. Mai una dichiarazione dalla quale potesse trasparire una sete di vendetta nei confronti dei giovani accusati. Una compostezza che anche ieri non ha lasciato indifferenti e trova forza nella fede e nella fiducia nelle istituzioni: «Lasciamo che la giustizia faccia il suo corso», dice il padre di Willy.
Parole a cui fanno eco quelle del legale di parte civile, l'avvocato Marzi: «Di fronte alla giustizia oggi esistono due realtà contrapposte. La realtà di un giovane onesto che a 21 anni già lavorava come aiuto cuoco e aveva uno stipendio. Dall'altra parte un mondo esecrabile di irresponsabili che hanno commesso un fatto di inaudita violenza e che addirittura pare avessero il reddito di cittadinanza. Quindi da un lato il mondo delle regole, dall'altro quello della illegittimità e della illiceità».
Una contrapposizione che traspare anche dai piccoli gesti. Il padre di Willy ha abbassato la testa e chiuso gli occhi, quasi in segno di preghiera, quando il presidente della Corte d'Assise di Frosinone, il giudice di Francesco Mancini, ha letto il capo d'imputazione dando il via al dibattimento: omicidio volontario aggravato dai futili motivi.