Kosovo, terroristi attaccano un monastero: alta tensione con la Serbia. Perché rischia di scoppiare una guerra

La Russia ritiene che la situazione nel Kosovo sia «estremamente difficile e potenzialmente pericolosa»

Lunedì 25 Settembre 2023
Kosovo, terroristi serbi attaccano un monastero: ucciso un poliziotto. Perché rischia di scoppiare una guerra

Cosa sta succedendo in Kosovo? L'esplosione di violenza è «la diretta e immediata conseguenza» della volontà del primo ministro Albin Kurti di «provocare un conflitto ed eliminare i serbi dal territorio della regione».

Lo ha detto la portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova citata dall'agenzia Ria Novosti. Kurti, aggiunge la portavoce, cerca di fare pressione sulla Serbia per costringerla a riconoscere l'indipendenza del Kosovo in un «costante gioco con il fuoco che, come vediamo, porta l'intera regione dei Balcani su un baratro pericoloso».

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Dove si trova

Al centro della penisola balcanica, è delimitato a nord e a est dalla Serbia, a sud-est dalla Macedonia del Nord, a sud-ovest dall'Albania e a ovest dal Montenegro.

 

La richiesta del Kosovo

Il ministro dell'Interno kosovaro Xhelal Svecla ha chiesto alla Serbia di consegnare al più presto a Pristina tutti i componenti del gruppo armato protagonista degli scontri di ieri nel nord del Kosovo rifugiatisi eventualmente in territorio serbo, a cominciare dai sei aggressori rimasti feriti e che, a suo dire, sono attualmente ricoverati in un ospedale di Novi Pazar, città del sud della Serbia non lontana dal confine kosovaro.

 

 

Cosa è successo

Nel nord del Kosovo è tornata a salire pericolosamente la tensione dopo l'uccisione la notte sorsa di un poliziotto locale vittima di uno scontro a fuoco con un gruppo di uomini pesantemente armati e appoggiati da mezzi blindati. Una esplosione di tensione che annulla ancora una volta tutti gli sforzi negoziali e di mediazione, l'ultimo dei quali è stato l'ennesimo fallimento del nuovo faccia a faccia di dieci giorni fa tra il presidente serbo Aleksandar Vucic e il premier kosovaro Albin Kurti.

 

La sparatoria

Nella violenta sparatoria della notte avvenuta nel villaggio di Banjska, non lontano da Leposavic, uno dei quattro maggiori Comuni del nord a maggioranza serba, altri due agenti kosovari sono rimasti feriti. La pattuglia era intervenuta dopo una segnalazione su un blocco stradale attuato da due camion su un ponte a Banjska. Sparatorie e scontri a fuoco sono continuati per molte ore nel corso della giornata, con 30 assalitori che si sono diretti verso un vicino monastero serbo ortodosso, suscitando caos e paura fra il personale religioso e un gruppo di fedeli serbi in visita al monastero.

 

L'aggressione

Secondo la polizia, negli scontri sono rimasti uccisi tre aggressori, mentre uno di essi è stato arrestato. Catturate anche altre quattro persone sospette trovate in possesso di apparecchiature per comunicazioni radio e ritenute in contatto con il gruppo di aggressori armati entrato in azione nel nord. Non hanno trovato conferma le notizie diffuse in giornata secondo cui sarebbero stati otto gli aggressori uccisi. Immediata la reazione di condanna della dirigenza di Pristina, con il premier Albin Kurti e la presidente Vjosa Osmani che non hanno esitato a puntare il dito contro Belgrado, parlando di azioni pianificate di bande criminali serbe attive nel nord del Kosovo con l'obiettivo di destabilizzare la situazione.

 

"Attacco terroristico"

Kurti ha stigmatizzato «l'attacco terroristico» da parte di «professionisti del crimine, mascherati e pesantemente armati». «La criminalità organizzata, con il sostegno politico, finanziario e logistico dei responsabili ufficiali di Belgrado, attacca il nostro Paese», ha aggiunto Kurti. Analoga condanna da parte della presidente Osmani che ha parlato apertamente di «aggressione della Serbia nei confronti del Kosovo», sollecitando il sostegno degli alleati occidentali negli sforzi di Pristina per «imporre legge e ordine e preservare la sovranità in ogni parte del Kosovo». Secondo Kurti, il gruppo di aggressori armati era formato da «almeno 30 uomini», ai quali è stato intimato di arrendersi. Non civili, ha precisato, ma dei «professionisti, poliziotti o militari, mascherati e pesantemente armati».

 

Il retroscena

La nuova fiammata di violenza nel nord del Kosovo - teatro delle manifestazioni di protesta della locale popolazione serba la scorsa primavera contro i nuovi sindaci di etnia albanese nei maggiori Comuni serbi, e culminate con il ferimento a fine maggio di decine di militari della Kfor - ha suscitato ferma condanna ma anche enorme preoccupazione in tutte le principali ambasciate. Compresa quella italiana così come hanno reagito le istanze internazionali presenti in Kosovo - Kfor, Eulex, Unmik, Osce. Kfor, la Forza Nato al cui comando vi è il generale italiano Angelo Michele Ristuccia, ha fatto sapere di «monitorare da vicino la situazione», con «truppe presenti nell'area, pronte a rispondere se necessario». Ferme condanne degli scontri sono giunte dai mediatori Ue Josep Borrell e Miroslav Lajcak, mentre il premier Kurti ha incontrato a Pristina gli ambasciatori del gruppo 'Quint' che comprende Usa, Francia, Germania, Gran Bretagna e Italia.

Ultimo aggiornamento: 27 Settembre, 09:46 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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