Non solo Roma/ I taxi che non ci sono e le lobby senza regole

Mercoledì 4 Ottobre 2023 di ​Ruben Razzante

Non si può non concordare con chi lamenta che l’Italia sia un Paese ostaggio delle lobby.

In tanti osservano attoniti quanto accade da mesi nelle principali città italiane. Il paralizzante ostruzionismo che la categoria dei tassisti sta esercitando per impedire a nuovi operatori di entrare nel mercato è la cartina al tornasole di quanto sia alterata la dialettica tra i decisori istituzionali e alcune categorie e di quanto urga una regolamentazione della rappresentanza degli interessi per far sì che le scelte politiche siano equilibrate e rispettose del pluralismo sociale. Trovare un taxi è diventata un’impresa tanto a Roma quanto a Milano e in generale nelle metropoli che registrano un grande flusso di pendolari, anche stranieri, che giungono nel nostro Paese per svolgere attività professionali e contribuire ai circuiti produttivi. La libera concorrenza in quel settore è una chimera e i detentori delle licenze osteggiano qualsiasi ipotesi di ampliamento del parco veicoli per paura di perdere clientela, scaricando sulla disorganizzazione delle città le colpe delle code chilometriche che i malcapitati passeggeri sono costretti a fare prima di riuscire a salire su un taxi. A farne le spese non sono solo i cittadini che ne hanno bisogno per raggiungere i luoghi di lavoro, le stazioni, gli aeroporti. 

A pagare gli effetti di questa distorsione di mercato è il Paese nel suo complesso perché i potenziali investitori in attività produttive in Italia se ne guardano bene dall’indirizzare le loro risorse verso un Paese paralizzato da inefficienze, rallentamenti o blocchi di servizi essenziali, sterili e anacronistiche difese corporative.
Ecco dunque che la lobby dei tassisti finisce per tenere in pugno un’intera comunità nazionale perché ridurre le attività produttive e gli scambi commerciali vuol dire, alla lunga, cancellare posti di lavoro e opportunità professionali: il classico effetto domino che può generare un impoverimento generale, oltre che inasprire le tensioni sociali. Ma la vicenda taxi è figlia di una politica imprigionata nelle secche dei veti incrociati e incapace di gesti coraggiosi perché perennemente appesa al filo del consenso. Al di là, quindi, delle decisioni che adotteranno gli amministratori locali dopo che il Governo ha dato mano libera per l’aumento delle licenze, sarebbe utile ragionare sulle soluzioni di sistema per incidere più efficacemente e stabilmente su tali meccanismi ormai incrostati.

Torna dunque di straordinaria attualità l’esigenza di varare una regolamentazione del lobbying che contribuisca a definire il perimetro entro cui rientra la legittima e necessaria attività di rappresentanza di interessi. Infatti, uno dei principali punti di criticità nell’ambito del lobbying in Italia è la mancanza di una piena trasparenza riguardo alle relazioni tra i lobbisti e i decisori politici, con conseguente compressione degli spazi di dialogo e confronto con chi ha meno risorse e meno potere per far valere le proprie ragioni. Dal 1976 sono stati presentati in Parlamento oltre cento progetti di legge per disciplinare la materia, ma nessuno di questi ha avuto successo. Per questo motivo i portatori di interessi hanno continuato a muoversi in un contesto privo di paletti normativi. Nel 2022 era poi arrivato dal Parlamento il primo sì a un nuovo testo sulle lobby.

Successivamente, con la fine della legislatura è tramontata anche questa possibilità di vedere finalmente varata una legge sulla regolamentazione del lobbying. Per colmare questo vuoto normativo il nuovo Parlamento ha avviato un nuovo iter per intervenire al più presto rendendo pienamente trasparenti i processi decisionali, affinché tutti i portatori di interessi abbiano la possibilità di far conoscere il loro punto di vista alle istituzioni e per consentire all’opinione pubblica di valutare chi effettivamente ha contribuito a determinare le scelte compiute dai decisori pubblici. Lo scorso marzo, infatti, è stata aperta una nuova indagine conoscitiva sul tema, che potrebbe rappresentare uno stimolo, se coltivata con convinzione e senso dello Stato da tutte le forze politiche. 

A differenza dell’Italia, molti Stati hanno emanato regolamentazioni puntuali delle attività di lobbying. Per esempio, nel Regno Unito, è in vigore un registro pubblico dei gruppi di interesse che impone una chiara dichiarazione dell’identità dei soggetti rappresentati e delle risorse impiegate nelle attività di lobbying; in Francia i lobbisti sono tenuti a effettuare una registrazione completa e a rendere noti tutti i dettagli dei loro incontri con le autorità pubbliche; in Germania si richiede la divulgazione delle azioni di lobbying e delle relative spese. Questi Paesi applicano anche sanzioni severe per le violazioni di tali norme, contribuendo così a promuovere un ambiente di maggiore trasparenza e responsabilità per tutte le parti coinvolte. 
In quegli Stati, a differenza che nel nostro, la parola lobby non è usata con disprezzo perché indica una componente essenziale del gioco democratico che alimenta la ricerca del bene comune. Questo salto culturale un Paese come l’Italia non può più posticiparlo.

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