Interessi diversi/Il mondo (dis)unito in difesa del clima

Sabato 2 Dicembre 2023 di Romano Prodi

La Conferenza mondiale sul clima e l’ambiente (comunemente nota con l’acronimo COP28) è in corso da un paio di giorni a Dubai.

La partecipazione è corale da parte di tutti i Paesi del mondo, molti dei quali si sono presentati con elevate ambizioni e nobili obiettivi. Il confronto durerà fino al 12 dicembre, snodandosi attraverso una procedura complessa, riguardo alla quale non è facile comprendere le diverse tappe del percorso. 


D’altra parte non può essere semplice seguire la trama di un evento mondiale, nel quale agiscono 197 Stati e saranno presenti quasi settantamila partecipanti, a loro volta portatori di diversi valori e diversi interessi. Nel primo atto di questo confronto, che si concluderà oggi, sono stati protagonisti i capi di Stato e di governo che, naturalmente, hanno tutti espresso i nobili e coraggiosi obiettivi dei loro Paesi per migliorare le prospettive del nostro pianeta.
Nel corso della prossima settimana seguiranno i dibattiti tecnico-politici, per dedicare gli ultimi due giorni al difficile compito di trarre le conclusioni e le possibili linee di azione per fermare il surriscaldamento globale.


Già prima che il summit cominciasse, sono tuttavia nate feroci polemiche sul fatto che si svolge negli Emirati Arabi, un Paese con meno di dieci milioni di abitanti, che produce oltre quattro milioni di barili di petrolio al giorno e una quantità di anidride carbonica superiore a quanta ne producono i 241 milioni di cittadini del Pakistan. Resta inoltre un indiscutibile paradosso che il presidente della COP28 sia, nello stesso tempo, presidente di una delle più grandi imprese petrolifere mondiali. 


Si tratta, quindi, di una localizzazione del summit certamente criticabile. Essa, tuttavia, non deriva dal caso, ma dal fatto che tutte le grandi convenzioni internazionali, a partire da quelle politiche per finire a quelle sportive, sono diventate estremamente costose e, nello stesso tempo, molto importanti sotto il profilo economico e politico. 
Come si è visto nel recente caso dell’assegnazione dell’Expo all’Arabia Saudita, la capacità finanziaria dei grandi Paesi petroliferi li pone in una posizione di vantaggio tale per cui, continuando in questa direzione, all’Italia resterà solo la possibilità di ospitare l’Anno Santo, dato che è assai improbabile che, almeno allo stato attuale, possa essere oggetto di attrazione da parte di un Paese arabo.


Entrando nei contenuti del summit, il dibattito in corso si concentrerà sulla differenza di prospettiva fra gli Stati che hanno già intrapreso il cammino verso le nuove energie, sopratutto generate dal vento e dal sole, e quelli che invece rimangono totalmente ancorati al consumo di combustibili fossili. 


Il quadro mondiale presenta grandi differenze e vi sono concrete prospettive che queste differenze rimarranno tali per lungo tempo. In Europa il vento e il sole hanno generato intorno al 20% dell’elettricità prodotta e, seppure più lentamente rispetto alle previsioni e con ancora costi elevati, la loro quota continua ad aumentare.
Riguardo al nucleare, come è caratteristica comune dell’Europa di oggi, la politica diverge da Paese a Paese. La Francia vi punta per il futuro, la Germania chiude anche le centrali esistenti e l’Italia non si sa bene cosa pensi. Anche se noi europei siamo all’avanguardia della transizione energetica e la quota di energia non inquinante cresce più della domanda, rimaniamo comunque grandi consumatori di petrolio e di gas (circa il 70% del totale dei consumi) e lo rimarremo ancora a lungo. A loro volta gli Stati Uniti stanno diventando più “virtuosi” semplicemente perché, insieme a un po’ di sole e un po’ di vento, sostituiscono il carbone con il gas, che è meno inquinante. 
In Cina, anche se meno del vento e del sole, il consumo di carbone (54% del totale) continua a crescere e continuerà a crescere per ancora qualche anno. In India e in tutti i Paesi con basse risorse economiche prevale il carbone che rimane la fonte di energia dominante negli Stati poveri. Ad essi non viene oggi offerta alcuna concreta alternativa, per cui il loro consumo di carbone aumenterà enormemente.


In un mondo ideale, dovrebbe essere interesse condiviso l’organizzazione di un grande programma di investimenti per aiutare tutti i Paesi a mettere in atto la necessaria transizione verso le nuove energie che esigono una ingente quantità di risorse. I numerosi progetti in materia sono fino ad ora risultati senza seguito per la mancanza di un accordo e, quando accordi parziali sono stati conclusi, non sono poi stati messi in atto per la mancanza delle necessarie risorse finanziarie.


Le tensioni internazionali in corso aggiungono inoltre un’ulteriore difficoltà a un’intesa globale sul clima, che dovrebbe necessariamente partire da una volontà di azione comune fra gli Stati Uniti e la Cina.
Di questa comune volontà, nonostante le generiche convergenze emerse nel recente colloquio fra Biden e Xi Jinping, non vi è alcuna prospettiva concreta.
A meno che non accadano eventi straordinari e oggi imprevedibili, dalla Conferenza globale sul clima non potranno quindi essere prese decisioni di grande portata per una sostanziale riduzione dei combustibili fossili a livello mondiale.


Non si pensi comunque che questi summit siano inutili. Dalla firma del protocollo di Kyoto in poi hanno infatti contribuito a creare una coscienza comune sulla gravità del problema e sulla necessità di porvi rimedio. Anche se queste grandi Conferenze non sono in grado di prendere altrettanto grandi decisioni, è un bene che esistano perché, senza di esse, le prospettive per il futuro sarebbero ancora peggiori.

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