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Usa 2020/E la “censura” costruttiva ha reso civile il dibattito

Editoriali > Primopiano
Giovedì 5 Novembre 2020 di Mario Ajello
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Dare un’etica, ovviamente laica e liberale, alle nuove tecnologie. Cercare di spegnere la deriva incendiaria di odio, di fake e di altri primitivismi on line. Sono battaglie di civiltà più volte evocate, ma sempre assai poco praticate. Non è che stavolta, invece, ci siamo? Arriva cioè una svolta rispetto all’andazzo vigente  sui social in questi anni, nei quali in nome della legittimità dialettica tutto è stato pubblicato e viralizzato senza filtri?

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La notte dello spoglio elettorale negli Stati Uniti ha presentato una novità importante: la cancellazione del tweet di Trump in cui accusava gli avversari di volergli «rubare» l’elezione con i brogli e la non pubblicazione di post contundenti di marca democratica. 


La sfida digitale violenta di questi mesi tra The Donald e Biden ha avuto adesso, nel momento cruciale della conta alle urne, una sorta di censura - benefica, in questo caso - da parte dei colossi di Facebook e di Twitter. I quali sembrano aver capito che, maneggiando strumenti d’influenza così potenti, lo devono fare con un senso di iper-responsabilità e di attentissima cura a ciò che veicolano. Ne va della correttezza del dibattito pubblico e dell’ecologia della vita associata. Ovvero: non fare più dei social una piazza propagandistica dove tutto è lecito ma porre dei limiti alla falsificazione della realtà. 


Insomma l’idea di dare voce a tutti perché poi le persone da sole possano capire che cosa è vero e che cosa no merita finalmente - come sostiene da tempo un filosofo italiano ben noto, Luciano Floridi, docente all’Oxford Internet Institute - di essere superata. E bisogna darsi regole, come quella della rimozione di contenuti pericolosi che si è deciso nella Silicon Valley. Magari anche per evitare, agendo anzitempo, che poi questo tipo di regole vengano imposte ai colossi del web dai governi americani e europei. Una radio libera ma libera veramente - per usare le parole di una vecchia canzone di Eugenio Finardi e adattandole alla Rete - non può funzionare come il pozzo dell’indistinto o come una giungla dove domina incontrastato il circolo vizioso fake news-propaganda incendiaria. 


Va salutata dunque con soddisfazione la svolta dei giganti planetari della comunicazione e il loro approdo pratico e diretto al controllo di qualità delle informazioni e delle opinioni. Però va considerato anche il rovescio della medaglia. Ossia il pericolo che si nasconda, in questa adozione di regole e di controlli, la possibilità che vinca un pensiero su un altro, la tendenza a orientare i consensi politici a favore di uno o di un altro. No, non c’è da temere l’arrivo di un fantomatico Grande Fratello - sullo stile di quello che le teorie cospirazionistiche tanto in voga sui social non fanno che immaginare più o meno a vanvera - ma occorre fare un discorso completo, senza tacere sulla delicatezza e sull’ambivalenza del dovere-diritto di mettere freni alle farneticazioni e alle manipolazioni digitali. Per rendere davvero liberale la svolta, tutti dovrebbero scendere in campo.

Dove la moderazione dei social network e dei portali d’informazione non arriva, quando l’intervento delle autorità non è abbastanza repentino, è importante che anche gli utenti del web, le persone comuni, si mobilitino e intervengano per tutelare se stesse e i propri Paesi. Promuovendo l’oscuramento non oscurantista, ma anzi illuminista, di contenuti ritenuti inaccettabili e proponendo forme di comunicazione civile e costruttiva. Una morsa benefica dall’alto e dal basso, se ben azionata in nome dell’interesse collettivo, potrebbe stritolare il peggio della comunicazione e della politica.

 

Ultimo aggiornamento: 08:13 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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