Carlo Mazzone/ Amato da tutti, oltre le vittorie

Domenica 20 Agosto 2023 di Piero Mei

«Ora devi solo insegnare agli angeli a correre sotto la curva»: è stato uno dei tanti commenti a caldo che hanno subito inondato i social, non appena si è diffusa la notizia.

Che è che a 86 anni è morto Carlo Mazzone, romano e romanista, che «ce voleva un romanista pe’ favve vince ‘no scudetto», come ebbe a dire il giorno in cui con il Perugia batté la Juve e la Lazio diventò campione d’Italia. E lei che ha vinto? Gli chiedevano per provocarlo. «Il cuore della gente», rispondeva. Della gente qualunque e dei campioni. Roberto Baggio, a Brescia, faceva mettere una clausola liberatoria sul suo contratto: se va via Mazzone, posso andarmene anch’io. Mica era di quelle penali che possono finire in un’aula di tribunale: era la clausola dell’affetto. Francesco Totti lo considerava «come un padre», che è anche il titolo di un film che a Mazzone è stato dedicato: «Che sarebbero state la mia vita e la mia carriera senza Mazzone?», si è chiesto.

Il padre allenatore gli avrebbe risposto come quella volta che irruppe mentre Francesco parlava con la stampa, esercizio di una certa pericolosità, e gli intimò: «A’ regazzi’ vatte a ffa’ ‘na doccia»: era la clausola dell’umanità. Pep Guardiola, che Mazzone volle al Brescia dopo un inciampo sul doping e una squalifica, chiamò Mazzone in tribuna all’Olimpico quando venne a giocarsi la Champions con il Barcellona: se la giocò, la vinse, la dedicò a Mazzone. La clausola della gratitudine. Andrea Pirlo era un buon trequartista: Mazzone lo mutò geneticamente e ne fece il grande regista che il calcio mondiale ha ammirato. Beppe Signori era «un giocatore finito»: Mazzone gli dette una seconda vita a Bologna, mai, però, dimenticando il passato, Trastevere e tutto il resto del cucuzzaro romano; quando Beppe in rossoblù fece un gol alla “sua” Roma, Mazzone andò negli spogliatoi per dire «è la prima volta che so’ contento che un laziale ha fatto un gol alla Roma». E’ stato in panchina 792 volte in serie A (più, dicono, cinque spareggi): un record. Lo provocavano: lei è il Trapattoni dei poveri. Rispondeva: è lui che è il Mazzone dei ricchi.

Gli chiesero: sarebbe bello poter combattere ad armi pari con Juve, Milan e Inter. Rispose “Magara”, e fu “Er Magara” per sempre, che era un modo di dire “magari”, ma rafforzandolo, un desiderio che forse era un miraggio e però forse anche una possibilità. Era, “magara”, un altro calcio, non quello che dell’Arabia e del conto in banca. Un calcio “stradarolo”, forse radicato all’oratorio, ma bello da vedere, coinvolgente fino ad arrivare al cuore che tu fossi in campo o in tribuna, sul velluto di quella d’onore o in piedi in cima a una curva, da dove la partita ti può apparire un subbuteo ma la partecipazione è gigantesca e sanguigna. È il tifo, bellezza. Un calcio da “c’era una volta” ma tecnicamente evoluto, sennò come spiegare quel Pirlo da Oscar, quel Totti che «un Capitano, c’è solo un Capitano», quel Guardiola che dove va vince, quel Baggio che altro che “coniglio bagnato” come una volta lo etichettò l’Avvocato, quel Signori che si riscoprì che «segna sempre lui»? Ha avuto due amori calcistici, oltre, quello per la famiglia che veniva in primis, marito, papà, nonno e bisnonno (nonno social: era un uomo del passato? E allora perché ha aperto un account twitter cui, tramite il nipote Alessio, affidava pensieri di pallone e no): erano la Roma e l’Ascoli, la città dove ha messo radici ed è scomparso ieri. L’Ascoli di Costantino Rozzi! Un miracolo da fare invidia agli “scericchi” d’oggi. E, forse, ha avuto un altro amore, dovunque sia stato, in Ascoli o a Firenze, a Catanzaro, a Bologna, a Lecce, a Pescara, a Cagliari, a Roma, a Napoli, a Perugia, a Brescia, a Livorno: la Curva. Di qui le corse fin là sotto, ora ad abbracciare come la Sud all’Olimpico, ora a quella bergamasca che lo aveva riempito d’insulti e «se pareggio, ve vengo a becca’»: pareggiò, andò a rispondere «perché la mamma non si tocca». E nemmeno la Roma. Subito dopo telefonò a casa: «Che c’avemo parenti a Bergamo?». Beh, nessuno lo ha mai odiato, nemmeno da quelle parti.

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