Le buste paga dei colleghi non avranno più segreti. E in caso di retribuzioni discriminatorie i datori di lavoro saranno chiamati a risarcire i dipendenti mal pagati. Obiettivo: superare il gender pay gap, ancora molto diffuso in Europa.
Tredicesima detassata già nel 2023, il piano del governo. Mini-taglio dell’Irpef nel 2024
I TEMPI
Le nuove regole sono state pubblicate nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione a maggio e l’Italia dovrà recepirle entro l’estate del 2026. Le norme sul gender pay gap riguardano sia il settore pubblico che quello privato. In pratica, i lavoratori potranno conoscere gli stipendi dei colleghi che svolgono le loro stesse mansioni. La direttiva europea stabilisce infatti il diritto dei lavoratori (e dei loro rappresentanti) di ricevere informazioni chiare ed esaurienti sui livelli retributivi individuali e medi, suddivisi per genere. Più nel dettaglio, viene riconosciuto ai lavoratori il diritto all’informazione, in base al quale potranno «richiedere e ricevere per iscritto informazioni sul loro livello retributivo individuale e sui livelli retributivi medi, ripartiti per sesso, delle categorie di lavoratori che svolgono lo stesso lavoro o un lavoro di pari valore».
LE TUTELE
La risposta da parte del datore di lavoro dovrà arrivare entro e non oltre due mesi dalla data di presentazione della domanda. E se le informazioni fornite dovessero risultare imprecise o incomplete, al datore potranno essere richiesti ulteriori chiarimenti e dettagli. Stop anche alle clausole contrattuali che impediscono ai dipendenti di divulgare informazioni sui loro compensi. Non solo. Con le nuove norme i datori di lavoro hanno l’obbligo di dettagliare le informazioni sulla retribuzione iniziale o sulla fascia retributiva dei posti vacanti pubblicati, riportandole nei relativi avvisi di ricerca di personale o comunicandole prima del colloquio di lavoro. Infine, la direttiva impone il divieto di chiedere ai candidati informazioni sulle retribuzioni percepite nei precedenti rapporti di lavoro.
I PERCORSI
Ma cosa accade nel caso in cui un lavoratore è vittima di una discriminazione retributiva basata sul genere? In questo caso la direttiva prevede per la parte lesa la possibilità di ottenere un risarcimento che comprenda il recupero integrale delle retribuzioni arretrate e dei relativi bonus o pagamenti in natura, il risarcimento per le opportunità perse, il danno immateriale, i danni causati da altri fattori pertinenti che possono includere la discriminazione intersezionale, nonché gli interessi di mora. In tribunale spetterà poi al datore di lavoro dimostrare di non aver violato le norme europee in materia di gender pay gap.
Il principio della parità retributiva per un lavoro uguale o di pari valore è sancito dal Trattato di Roma.
Il dato medio delle retribuzioni orarie lorde, quello utilizzato da Eurostat, indica in Italia un divario retributivo di genere del 4,2 per cento, rispetto a una media Ue del 13 per cento. Ma non è il caso di brindare. Già perché questo tipo di rilevazione non intercetta i gap che si rilevano nei premi di produzione o di risultato. Né tantomeno quelli che si accumulano nel corso della vita a causa del divario nel tempo dedicato al lavoro.
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