Patto di stabilità, per l'Italia interventi più leggeri per rientrare nei parametri. Il nuovo margine di flessibilità sarà a tempo

Con lo sconto-interessi la correzione dei conti potrebbe scendere dallo 0,5% allo 0,3% del Pil

Sabato 9 Dicembre 2023 di Andrea Bassi e Gabriele Rosana
Patto di stabilità, accordo a quattro: via libera di Berlino. Ecco gli sconti sul deficit, manovre più leggere

Ci vorrà ancora qualche passaggio. Bisognerà arrivare all’accordo definitivo tra i Paesi europei. E poi stabilire i dettagli tecnici. Ma la traccia del compromesso nei documenti presentati dalla Presidenza spagnola c’è. E per l’Italia potrebbe contenere più di un aspetto positivo. Ma andiamo con ordine. Nel Patto si fa strada l’introduzione di uno “sconto” temporaneo, tra 2025 e 2027, per tenere conto dell’aumento delle spese per gli interessi sul debito, una parte del quale contratto per finanziare gli investimenti nella transizione “green”, digitale e per la difesa, tutte priorità imposte dalla stessa Europa.

La novità concordata dal quadriumvirato Spagna-Francia-Germania-Italia, e adesso attesa al negoziato con i frugali duri e puri, è contenuta al considerando 24bis della bozza di compromesso del regolamento sul cosiddetto braccio correttivo, quello cioè che scatta in caso di violazione della regola del deficit al 3% del Pil, mentre la sua natura transitoria e in cambio di investimenti e riforme, è ribadita al successivo articolo 17c. La posizione non è casuale: consente, infatti, di introdurre delle sfumature nel testo, ma in una parte giuridicamente non vincolante. 

LO STRATAGEMMA

Lo stratagemma evita, quindi, di riaprire il negoziato politico sul dettato normativo strettamente inteso - punto su cui Germania e frugali non erano disposti a indietreggiare -, ma consente di introdurre un margine di flessibilità, come chiesto dal Sud Europa, Parigi e Roma in testa. Seppure a tempo. Si legge nell’articolo: «Sebbene le regole della procedura per deficit eccessivo rimangano invariate, (richiedendo, ndr) un miglioramento annuale minimo di almeno 0,5% in termini strutturali come benchmark di riferimento, di fronte a una situazione significativamente cambiata in materia di tassi d’interesse e davanti alla sfida di investimenti di vasta portata nel contesto della doppia transizione (verde e digitale) e delle sfide geopolitiche, la Commissione può, per un periodo transitorio nel 2025, 2026 e 2027 - con l’obiettivo di non compromettere gli effetti positivi del Pnrr -, tener conto dell’aumento dei pagamenti degli interessi nel calcolo degli sforzi di aggiustamento nel quadro della procedura per deficit eccessivo».

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IL PASSAGGIO

Il mezzo punto percentuale di aggiustamento di bilancio strutturale per i Paesi sottoposti a procedura, fanno notare fonti diplomatiche, nel testo del regolamento è citato come “benchmark”. Cioè come valore di riferimento, non come tagliola da cui non si può scappare. La flessibilità - cioè, in concreto, gli spazi di negoziato con la Commissione - entrerebbe quindi in gioco nella determinazione dei margini di manovra e nella determinazione di quali aumenti delle spese per interessi escludere dal risanamento strutturale. La regola può ovviamente essere ampiamente usata dall’Italia i cui interessi nei prossimi anni sono destinati a salire velocemente per l’aumento dei tassi della Bce e per il fardello aggiuntivo del debito per il Superbonus. Si passerà dagli 89 miliardi stimati per il 2024 fino ai 103 miliardi del 2026. La domanda, a questo punto, è un’altra. Di quanto potrà essere abbassata la “correzione” dei conti dovuta alla procedura di deficit eccessivo? Lo 0,5 per cento di partenza vale circa 10 miliardi di euro. Se da questa procedura emergesse uno sconto di 0,2 punti, su cui per esempio sembra contare la Francia per i suoi conti, l’Italia la correzione sarebbe di 6 miliardi, quattro in meno rispetto alla regola dello 0,5%. Se riuscisse a ottenere anche solo un altro 0,1 per cento di flessibilità con lo “sconto-tassi”, la correzione scenderebbe ancora a 4 miliardi. Cifre insomma, che appaiono più sostenibili rispetto all’ipotesi di partenza. E che eviterebbero di legare mani e piedi al governo sulle manovre dei prossimi anni, già molto impegnative per la necessità di confermare i tagli alle tasse e la riduzione del cuneo contributivo (da sole queste due misure valgono quasi 15 miliardi). 

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