Irpef, nuove aliquote 2024: le simulazioni. Ecco chi ci guadagna e chi ci perde

È ancora tutto da definire lo scenario per il 2025. Dipenderà dal cantiere di lavori già in corso

Giovedì 15 Febbraio 2024
L'Agenzia delle Entrate cambia schema con il nuovo sistema di aliquote Irpef

Per il 2024 il sistema a tre aliquote Irpef è già definito. È ancora tutto da definire lo scenario per il 2025.

Dipenderà dal cantiere di lavori già in corso. Una nuova sforbiciata alle aliquote Irpef potrebbe infatti far salire ancora di qualche centinaio di euro l’anno i redditi e le buste paga. Il governo ci sta lavorando e cerca le apposite risorse, con l’idea di privilegiare stavolta la fascia medio-alta, cioè coloro che guadagnano attorno ai 50mila euro l’anno. Il destino del taglio dell’Irpef è legato a quello di un altra misura: il concordato biennale per le partite Iva. Più risorse arriveranno da lì, più l’esecutivo investirà sul nuovo taglio Irpef. Parola del viceministro dell’Economia, Maurizio Leo. Ma se da tre si passasse a due aliquote, cosa cambierebbe effettivamente per le buste paga e chi ci guadagnerebbe?

IRPEF, DI QUANTO SONO SALITI GLI STIPENDI

Quest’anno, e per ora solo per quest’anno, il governo ha ridotto le aliquote fiscali da quattro a tre, accorpando quella del 25% a quella del 23%. Questa misura costa 4 miliardi di euro e produce un beneficio di 260 euro all’anno per i contribuenti. L’intenzione di Leo non è solo quella di confermare il taglio anche per il 2025, ma di allargarlo. L’idea, con il prossimo modulo della riforma Irpef, è di favorire la classe medio-alta, quella che guadagna attorno ai 50 mila euro e che proprio il taglio dell’Irpef disegnato nell’ultima manovra ha penalizzato introducendo una franchigia sulle detrazioni esattamente di 260 euro, che ha escluso questi redditi dal beneficio della riduzione delle tasse. Insomma, per chi guadagna più di 50mila euro il vantaggio del taglio Irpef di quest’anno si riduce fino ad azzerarsi.

DOVE TROVARE LE RISORSE PER UN NUOVO INTERVENTO

La riforma fiscale disegnata da Leo ha al suo interno un meccanismo di “autofinanziamento”. Tutte le misure che determinano un gettito fiscale, vanno a finire in una sorta di salvadanaio, un fondo per finanziare invece le misure che hanno un costo, come appunto il taglio dell’Irpef. Questo fondo è già stato alimentato dalla cancellazione di una misura per le imprese, l’Ace, l’aiuto alla crescita economica, un’agevolazione fiscale introdotta dieci anni fa per favorire la capitalizzazione delle aziende. Grazie alla sua cancellazione il fondo potrà contare su una dote di 3,5 miliardi di euro per il 2025, e circa 2,7 miliardi l’anno a partire dal 2026. Una dote importante ma non sufficiente. Per questo nel “fondone” per il taglio delle tasse dovrà finire anche il gettito che sarà recuperato alle casse dello Stato grazie al concordato preventivo per le Partite Iva.

IL POSSIBILE TESORETTO NEL 2025

Nella prima versione il decreto prevedeva maggiori incassi per lo Stato grazie al concordato, di circa 1,8 miliardi. Soldi che però derivavano soprattutto dal fatto che era previsto che l’accesso alla misura era possibile soltanto per chi avesse ricevuto un voto agli Isa (le pagelle fiscali date dall’Agenzia), di almeno “8”. Insomma, si stimava che per ottenere i benefici del concordato, molte partite Iva che avevano un voto inferiore avrebbero dichiarato di più per centrare il giudizio minimo per aderire al concordato. Ma dopo il passaggio parlamentare il voto minimo è stato eliminato. E questo potrebbe far salire il gettito per lo Stato. Gli effetti di questa misura tuttavia, saranno noti dopo il 15 ottobre, data ultima per accettare (o rifiutare) la proposta del Fisco. Pochi giorni dopo arriverà la manovra del governo e si scoprirà se gli incassi del concordato saranno sufficienti a permettere di proseguire con il taglio delle tasse.

QUANTO SI GUADAGNEREBBE IN BUSTA PAGA

Per Leo l’obiettivo del governo dal 2025 in poi è un sistema a due aliquote. In controtendenza con la decisione appena presa dal governo sul taglio alle detrazioni sopra i 50mila euro di reddito, Leo ha spiegato che in futuro si punta a tutelare quella fascia di reddito. «Il contribuente con poco più di 50mila euro di reddito - ha detto - non possiamo dire che sia iper-ricco e paga il 43% di tasse, troppo. Bisogna pensare gradualmente a questi soggetti». «Se non si va verso una riduzione della pressione fiscale - ha concluso - questo Paese non fa passi avanti». L’obiettivo futuro del governo è quindi ridurre il carico fiscale per le fasce di reddito medio-alte: può essere fatto abbassando l’aliquota massima del 43% o spostandola su livelli di ricchezza più elevati. Si potrebbero quindi avvicinare o accorpare le prime due aliquote (23% e 35%), lasciando quella al 43% per i redditi sopra una soglia più elevata (magari 70-80mila euro). Altrimenti si possono accorpare la seconda e terza aliquota, abbassando la terza e alzando leggermente la seconda (magari attorno al 38-40%). In questo caso, però, per non fare un’operazione troppo iniqua dovrebbero essere immaginati nuovi meccanismi di taglio alle detrazioni per i redditi alti. Operazioni del genere potrebbero far guadagnare (anche in busta paga) diverse centinaia di euro l’anno a tutti coloro che hanno uno stipendio o un reddito superiore ai 28mila euro annui, ma sarebbero molto onerose per le casse dello Stato (insomma, 1,8 miliardi non basterebbero). Le risorse, al momento, non ci sono. Motivo per cui l’intervento per ora rimane in stand-by.

CHI CI PERDE ORA

Ma torniamo alla riforma fiscale appena entrata in vigore. Il nuovo sistema non porterà benefici alla maggioranza dei contribuenti che hanno un reddito al di sopra dei 50 mila euro l’anno. Ma assicurerà invece, come già sottolineato, un risparmio di 260 euro a coloro che superano di molto questa soglia, guadagnando dai 240 mila euro in su. Si tratta di una platea ridotta, ma non si può non tenerne conto con dei correttivi. L’ultima circolare dell’Agenzia delle Entrate mette nero su bianco i dettagli del provvedimento che riduce da quattro a tre le aliquote Irpef. E fa emergere così un tema già sottolineato dal viceministro dell’Economia, Maurizio Leo: la necessità di prossime misure di riequilibrio proprio a favore della classe media.

IL SISTEMA A TRE ALIQUOTE

Il decreto legislativo approvato a fine 2023, che contiene la prima parte della riforma dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, ha previsto - è bene ribadirlo - solo per il 2024 un sistema a tre aliquote, con l’accorpamento della prima e della seconda, portate entrambe al 23% per i redditi fino a 28mila euro lordi. Il vantaggio, per chi dichiara un imponibile pari o superiore a questa soglia, è appunto di 260 euro l’anno. Beneficio che corrisponde proprio alla riduzione di due punti dell’aliquota per l’intero scaglione 15-28 mila euro e si conserva intatto fino ai 50 mila euro.

IL MECCANISMO

Al di sopra di questa soglia, però, la situazione cambia e il vantaggio nella maggior parte dei casi rischia di ridursi o annullarsi. Il governo infatti, per attenuare il costo della riforma per le casse dello Stato, ha inserito una franchigia alle detrazioni. Ovvero le spese (dalle medicine agli abbonamenti del trasporto pubblico) sostenute dal contribuente e che possono essere inserite nel 730, andando quindi a ridurre l’imposta netta da versare. Cosa succederà, allora, con la dichiarazione relativa a quest’anno? In pratica per chi guadagna oltre 50mila euro lo Stato tratterrà i primi 260 euro di detrazioni, che quindi andranno effettivamente a sottrarsi alle tasse solo oltre quella soglia. La franchigia per l’esattezza non si applicherà a tutte le detrazioni, ma solo alle spese detraibili al 19% (tranne quelle sanitarie), alle erogazioni per i partiti politici e ai premi di assicurazione per i rischi legati ad eventi calamitosi.

LE DETRAZIONI

Le detrazioni al 19% sono però le più diffuse e tra queste incidono quelle sugli interessi dei mutui, fino a un massimo di 4mila euro per l’acquisto e fino a 2.582 euro per la costruzione o la ristrutturazione dell’abitazione principale. Vantaggiosa è anche la detrazione sugli intermediari: fino a mille euro se ci si è serviti di un’agenzia immobiliare per comprare quella che poi diventa la propria prima casa. Ci sono poi le spese universitarie e varie altre voci. Le detrazioni, tuttavia, per una norma inserita alcuni anni fa, oltre i 120mila euro si riducono progressivamente, fino ad azzerarsi sopra i 240mila euro. E qui, in combinazione con le novità del 2024, scatta il paradosso. Oltre i 240 mila l’importo complessivo da detrarre è già annullato e la franchigia non può essere applicata. Ecco che, così, chi guadagna 50mila euro e può detrarre ad esempio 500 euro tra interessi del mutuo e costi dell’agenzia immobiliare, non avrà alcun nuovo beneficio fiscale. Mentre chi è oltre i 240mila euro di reddito pagherà comunque 260 euro in meno rispetto all’anno precedente. Va detto che si tratta di una platea ridotta, meno di centomila persone, per le quali un piccolo “regalo” non farà probabilmente molta differenza. Ma il contrasto con il trattamento riservato a redditi molto più bassi salta comunque all’occhio.

Ultimo aggiornamento: 17 Febbraio, 08:18 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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