Meta perde la causa: pagherà gli editori per pubblicare le news. Il Consiglio di Stato: «Sì all'equo compenso»

Chi pubblica i giornali riceverà fino al 70% di quanto guadagnano le big tech sugli articoli

Martedì 12 Marzo 2024 di Giacomo Andreoli
Meta perde la causa: pagherà gli editori per pubblicare le news. Il Consiglio di Stato: «Sì all'equo compenso»

Gli editori di giornali vincono la battaglia sul diritto all’equo compenso per l’utilizzo delle news online. Il Consiglio di Stato ha dato infatti ragione agli editori, e all’Agcom, l’autorità garante delle comunicazioni, nella controversia aperta con Meta, la big tech che comprende Facebook, Instagram e Whatsapp. In questo modo, dopo lo stop del Tar del Lazio alla fine dello scorso anno, torna pienamente in funzione il regolamento dell’Authority sulla remunerazione da riconoscere ai proprietari dei diritti degli articoli.

Provando a preservare la tutela della qualità e la sostenibilità economica dell’informazione. 

LA DIRETTIVA

La battaglia sull’equo compenso per l’uso online delle pubblicazioni dei giornali da parte delle big tech, d’altronde, era arrivata praticamente a uno spartiacque. La pronuncia del Tar aveva sospeso il regolamento sulla base del quale editori e grandi operatori della rete avrebbero dovuto individuare l’entità dell’equo compenso. Un diritto che è stato fissato dalla direttiva dell’Ue sul copyright del 2019, ma contro cui si era schierata Meta, facendo ricorso. Ma adesso la sesta sezione di Palazzo Spada ha nuovamente cambiato le carte in tavola. Il collegio di consiglieri chiamati a decidere, composto dal presidente Roberto Caponigro, oltre che da Giovanni Pascuzzi, Marco Poppi, Giovanni Gallone e Thomas Mathà, ha impresso una svolta dall’evidente importanza simbolica, oltre che direttamente economica.

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I POSSIBILI RICAVI

Il regolamento dell’Agcom prevede un «equo compenso» per i prodotti giornalistici da corrispondere agli editori sulla base dei «ricavi pubblicitari del prestatore derivanti dall’utilizzo online delle pubblicazioni di carattere giornalistico dell’editore, al netto dei ricavi dell’editore attribuibili al traffico di reindirizzamento generato sul proprio sito web». All’editore, quindi, potrà arrivare una quota fino al 70% di quanto “frutta” un articolo online. Serve un accordo con le piattaforme, ma se le trattative falliscono l’Agcom può intervenire per fissare l’equo compenso. Secondo Meta, però, il regolamento sarebbe in conflitto con la direttiva europea che, come detto, fa da cornice generale, violando anche principi cardine dell’Ue come la libertà d’impresa e l’uguaglianza. 
La Fieg, federazione degli editori, ha accolto la decisione del Consiglio di Stato con «soddisfazione», sottolineando che, se confermata, la sospensione del regolamento dell’Agcom «avrebbe avuto come solo effetto quello di privare editori e piattaforme digitali della possibilità di avvalersi dell’apporto di un soggetto terzo competente (l’Authority, appunto), in grado di facilitare il raggiungimento di un accordo». 

Per Alessandra Costante, segretaria generale della Fnsi (il sindacato dei giornalisti), la decisione dei giudici «segna un punto a favore del sistema dell’informazione in Italia: il regolamento stilato dall’Agcom può e deve essere uno strumento utile a generare valore per l’intera filiera».

Ultimo aggiornamento: 14 Marzo, 09:46 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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