Calciomercato, big italiani in vetrina ma solo per arabi e inglesi

È il tempo delle vacche magre e dei controlli serrati della Uefa

Mercoledì 5 Luglio 2023 di Michele Di Branco
Sandro Tonali

L'età dell’oro dell’Hotel Gallia, con i presidenti padroni, ricchi scemi, pronti a staccare assegni miliardari per assicurarsi l’asso capace di farti vincere scudetti e coppe, è tramontata da un pezzo.

E la fiera dei sogni pure.

Adesso il primo obiettivo è non perdere i pezzi pregiati, il secondo è ingaggiare calciatori a “parametro zero” alla ricerca del campione incompreso. Il terzo obiettivo pescare un emiro che offra un contratto d’oro a qualche campione bollito ancora dolorosamente sotto contratto in modo da alleggerire il libro paga. Quello che si prospetta è un calciomercato senza particolari colpi ad effetto, se non in uscita.

LA POSTA IN GIOCO

Complice la buona annata delle italiane nelle coppe europee, la Serie A è tornata centrale nelle operazioni di scouting dei club inglesi e - novità di quest’anno - di quelli arabi. La triste realtà è che il football domestico rischia di diventare una specie di vetrina di giocatori pronti ad emigrare verso campionati più attraenti e remunerativi. Un destino inevitabile visto che le nostre squadre professionistiche navigano in acque agitate, con un debito consolidato di 1,3 milioni di euro e un appeal sempre più modesto. Per dire, in questi giorni la lega di serie A sta trattando con i presidenti il rinnovo del contratto, in scadenza nel 2024, dei diritti triennali della Tv. I presidenti puntano a incassare 1,2 miliardi l’anno per tre stagioni (l’attuale accordo vale 900 milioni) ma i broadcaster, a quanto pare, hanno offerto appena 600 milioni (la premier League inglese vale 4 miliardi) e giocano al ribasso. Ed è inutile stupirsi perché la qualità del campionato rischia di ridursi considerato che alcuni big sono pronti ad andarsene. Il milanista Tonali è già stato venduto al Newcastle per una cifra che sfiora 80 milioni e altri lo seguiranno presto. Il calciomercato 2023 si preannuncia come la fiera delle vacche magre. Se in Inghilterra, quello chiuso lo scorso anno può essere considerato il calciomercato dei record, con il muro dei 2 miliardi di euro di investimenti ampiamente sforato, in Italia la situazione è desolante. Per dire, nel 2022 la Serie A ha movimentato solo 700 milioni. Il modello inglese è qualcosa di inimitabile anche per altri campionati top. Al di là della Manica, lo scorso anno, ben dieci società hanno speso più di 100 milioni di euro: il Chelsea, con quasi 300 milioni di spese (primato storico per una singola sessione) e malgrado il cambio di proprietà, ha fatto la parte del leone. Il Manchester City ha speso 60 milioni per il cartellino di Haaland, limitandosi a ritoccare un organico già competitivo. Lo United si è spinto oltre i 250 milioni. Il Nottingham Forest, tornato nel campionato che più conta, ha chiuso la sessione estiva con 21 nuovi acquisti (168 milioni di euro spesi); al Liverpool il solo Nunez è costato 75 milioni, il Tottenham ne ha spesi 60 per Richarlison.

RISANAMENTO

 Qui da noi, prima di pensare a fare il mercato, c’è stato da sistemare i bilanci. Altrimenti si rischiava di saltare addirittura l’iscrizione al campionato. E in quest’ottica, lo scorso autunno la Figc ha fatto un primo passo verso un graduale percorso di risanamento sotto l’aspetto economico-finanziario. Il Consiglio federale ha varato un meccanismo che condiziona iscrizione e agibilità sul mercato a norme che servono a mettere in sicurezza il sistema allineandosi con le norme Uefa. «Sono licenze innovative - ha spiegato il Gravina nei mesi scorsi - Puntano a dare sicurezza al sistema sotto principi quali la solvibilità, la stabilità e il contenimento dei costi». Per questo l’azione della Federcalcio ha visto spingere da una parte sulla necessità dei club di pagare tutti i debiti tributari e di mettersi in regola sul pagamento degli stipendi attraverso un sistema di “accertamenti infrannuali” con un livello soglia d’indebitamento fissato a 1.2, mentre è a 0.8 quello del costo del lavoro (rapporto fra costo della produzione e ricavi) che scenderà poi a 0.7 per la stagione 2025-26 (in linea con quanto già stabilito dalla Uefa). Dall’altra, invece, c’è la necessità di una maggiore selettività del sistema degli indicatori di controllo legato alla campagna trasferimenti, con il valore dell’indice di liquidità per il mercato fissato a 0.6 per la Serie A e 0.7 per la B e la C nella stagione 2023-24, mentre per le sessioni delle campagne trasferimenti del 24/25 la misura minima dell’indicatore di liquidità sarà di 0.7 per tutte le Leghe e l’anno dopo a 0.8. E attenzione alla furbate: l’Uefa ha annunciato l’obiettivo di combattere la possibilità di ricorrere a scambi di giocatori effettuati gonfiandone il valore, al fine di iscrivere a bilancio plusvalenze fittizie o comunque di una portata maggiore rispetto a quella reale. Con effetti ovviamente positivi sul bilancio stesso (o meglio, su quello in cui viene iscritta la cessione del giocatore che frutta la plusvalenza, perché sui successivi poi pesa l’ammortamento del giocatore acquistato nell’ambito dello scambio). Ossia ciò per cui la giustizia sportiva italiana ha accusato e condannato la Juventus negandole la qualificazione alla prossima Champions League. 

Ultimo aggiornamento: 6 Luglio, 07:59 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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