Calenda: «Subito più flessibilità o l'Europa è a rischio»

Giovedì 7 Luglio 2016 di Luca Cifoni
Carlo Calenda
«Nelle regole europee ci sono i margini per trovare una soluzione anche nel caso delle banche». Carlo Calenda è un sostenitore della necessità di rispettare le regole che ci sono, ma pensa anche che alcune vadano messe in discussione. Ad esempio per il ministro dello Sviluppo economico «è il momento di ripensare i vincoli di bilancio, escludendo per tre anni gli investimenti dal Patto di Stabilità».

Il caso del credito è emblematico: come si concilia il rispetto di una regola come quella del bail-in, appena entrata in vigore, con la necessità di evitare un allarme sociale?
«L'Italia non ha mai chiesto la sospensione o la cancellazione di regole europee, soprattutto non l'ha mai chiesto relativamente a singoli casi. Il ragionamento con Bruxelles sulle banche è all'interno delle regole, che già prevedono in alcuni casi particolari la possibilità di agire. Poi si possono fare anche le battaglie per cambiare le norme o adattarle ai momenti storici. Ad esempio diciamo che in Europa c'è bisogno di un grande piano di investimenti, perché la velocità del cambiamento tecnologico spaventa i cittadini e questo è il modo di chiudere la frattura sociale che si sta creando».

Per gli investimenti servono risorse europee o nazionali?
«Il piano Juncker sta permettendo di fare alcune cose ma serve una magnitudo diversa, serve un grande salto. E ci vogliono politiche nazionali, perché le esigenze possono essere diverse all'interno dei singoli Paesi. Quindi la prima cosa da fare è la pulizia di strumenti obsoleti, incentivi frazionati e inutili, per concentrarci su misure chiare e potenti come il super-ammortamento o la Sabatini. Dopo di che è chiaro che abbiamo bisogno di altri spazi finanziari. Io dico che per tre anni gli investimenti pubblici incrementali e tutti gli incentivi agli investimenti privati non vanno considerati ai fini del Patto di Stabilità. Questo è il momento per deciderlo, la Brexit ci ha mostrato che il re è nudo, c'è il rischio di un effetto domino. Non abbiamo tempo di aspettare elezioni in Francia e in Germania: o nei prossimi sei mesi si ricostruisce un percorso o si andrà incontro a un declino nemmeno tanto lento».
 
Finora anche all'interno del governo sembra aver prevalso la volontà di dare stimoli alla domanda...
«Gli stimoli alla domanda se non hanno un ammontare di risorse molto significativo rischiano di produrre poco effetto; inoltre agiscono a breve termine, mentre io credo che i cittadini siano pronti a capire un ragionamento di lungo termine se spiegato bene. Faccio l'esempio degli 80 euro. Non è stato tanto un provvedimento di stimolo alla domanda, quanto piuttosto di equità sociale. Quindi è stato giusto farlo. Ma ora serve un piano di lungo periodo. I cittadini hanno paura del futuro e il rifiuto della modernità è quello che fa nascere il populismo. Se non ricostruiamo la convinzione che i figli staranno meglio dei genitori le democrazie occidentali andranno tutte in crisi».

La paura e il disorientamento dei cittadini sembrano anche alla base dell'opposizione al Ttip, il trattato commerciale con gli Stati Uniti. Come vive questa situazione?
«Il Ttip è diventato un terreno di scontro ideologico che rischia di prescindere dai contenuti. Per essere chiari, non include nessuna discussione su Ogm, servizi pubblici, diritti dei lavoratori. Però c'è una fortissima opposizione. Io credo sia un problema che ha a che fare con la percezione della globalizzazione. La globalizzazione nel mondo ha fatto uscire un miliardo di persone dalla povertà, ma nella nostra società ha creato gravi spaccature tra vincenti e perdenti. Esempio tipico: da quando è entrata la Cina nel Wto abbiamo accresciuto le esportazioni di 150 miliardi di euro, tante aziende ne hanno beneficiato ma ci sono anche aziende che per la competizione scorretta o comunque per prezzi più bassi hanno dovuto chiudere».

Come si può affrontare questa sfida?
«Non certo pensando di rimanere fermi, perché oggi l'Europa è l'area con i dazi più bassi in assoluto: quindi se stiamo fermi permangono gli squilibri. Dobbiamo aprire altri mercati ai nostri prodotti. Bisogna giocare in difesa sanzionando i comportamenti scorretti ma soprattutto stabilendo standard globali. Ma poi anche giocare in attacco. Oggi i nostri marchi Dop e Igp non sono riconosciuti in America e non lo erano in Canada prima dell'accordo con quel Paese. In Canada grazie alla trattativa condotta a livello Ue sono stati riconosciuti 41 marchi italiani, per cui il prosciutto di Parma che entrava come original prosciutto ora potrebbe entrarci appunto come prosciutto di Parma. Però se per far entrare in vigore quel trattato serve la ratifica di 38 Parlamenti non andremo da nessuna parte. Ed è destinata a morire la politica commerciale dell'Unione europea. Mi ha colpito molto il fatto che la stessa commissione abbia avuto una posizione di debolezza accettando la visione degli Stati, secondo cui l'accordo con il Canada è un accordo misto e quindi va ratificato a livello nazionale».

Sulla trattativa con gli Usa lei ora è pessimista...
«Ci sono ancora dei round negoziali ma la possibilità di chiudere è limitata. Ci vorrebbe un miracolo. Certo il Ttip non sarà la priorità per il prossimo presidente americano, chiunque esso sia: se non chiudiamo adesso rischiamo di andare alla fine del prossimo mandato presidenziale o addirittura all'inizio del successivo».

Di questi tempi anche la concorrenza, come la globalizzazione sembra un'idea che fa paura. Quando sarà approvato il disegno di legge che è in Parlamento?
«Ho già detto che quella legge non è la più ambiziosa possibile, ma va chiusa prima dell'estate. Poi siccome è annuale ci metteremo a lavorare sulla prossima, per impegnarci in un dibattito. Si tratta di spiegare alla gente che la concorrenza non porta fregature, anzi è un fattore di equità. Concorrenza però non vuol dire Far West. Il fatto che ci siano ambiti che rimangono protetti e altri che non lo sono genera diseguaglianza. Proprio in questa logica, durante il question time alla Camera, ho detto che abbiamo chiesto chiarimenti a Terna, e sollecitato l'Autorità per l'Energia, a proposito dell'aumento significativo dei costi di dispacciamento che si è registrato negli ultimi tre mesi e che potrebbe aver contribuito in maniera determinante all'incremento del prezzo dell'elettricità scattato il primo luglio».
Ultimo aggiornamento: 8 Luglio, 08:38 © RIPRODUZIONE RISERVATA