L'ultima intervista a Ezio Bosso: «La musica è una terapia dell'anima»

Venerdì 15 Maggio 2020 di Raffaella Ianuale
Il maestro Ezio Bosso
Accoglie in sè potenza e umiltà. Le sue parole trasmettono un entusiasmo contagioso e apertura agli altri. È un grande artista, un talento riconosciuto nel mondo, ma il suo approccio è una mescolanza di emozioni che vanno dall’amore per la musica alla paura per il debutto. Perché quello dell’Arena di Verona, il prossimo 11 agosto, è per il maestro Ezio Bosso la sua prima volta sul più grande e antico palco lirico del mondo.
«Speriamo che il debutto non diventi un mi butto - sorride davanti a spartiti e pianoforte - provo una meravigliosa preoccupazione. Studio sodo ogni particolare di Orff perché la bacchetta deve andare da sola». Compositore, pianista e direttore, a Verona indosserà quest’ultimo abito e ammette: «Quando dirigo mi sento più completo».
Un grande affresco medioevale, quali sono i Carmina Burana di Carl Orff, lo vedranno esibirsi con l’Orchestra e il Coro della Fondazione Arena di Verona, i solisti Ruth Iniesta, Raffaele Pe e Mario Cassi e un doppio coro di voci bianche con sessanta bambini. Una folla di suoni diretti dal maestro torinese, ora 47enne, diventato celebre al grande pubblico, come ospite, al festival di Sanremo 2016 dove ha presentato “Following bird”. Questo artista è una forza della natura malgrado una malattia gli limiti i movimenti, ma non la potenza emotiva. Vive a metà tra Londra e Bologna, è ambasciatore dell’associazione Mozart 14 ereditata da Claudio Abbado, con il suo recital per pianoforte ha raccolto 100mila spettatori nei più prestigiosi teatri e tra i tanti premi e incarichi ricevuti l’ultimo, in ordine di tempo, è la direzione del teatro Verdi di Trieste.
Maestro, cosa deve aspettarsi il pubblico all’Arena?
«Gli spettatori si troveranno di fronte un’immensità che accoglie le diverse fasi della vita. Orff è stato un grande didatta, inclusivo che insegnava musica ai bambini, anche a quelli in difficoltà. Da qui le voci bianche del coro. Sarà una musica che ti rimane addosso».
Lei è particolarmente legato a Verona?
«Dico sempre che senza Verona non sarei nato. Questa città ha protetto mia madre dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale e lei è sempre rimasta affezionata a questi ricordi. Così l’Arena fu il primo regalo, che assieme a mia sorella, feci a lei e a papà. L’ho fatta tornare a Verona, all’interno dell’Arena dove non era potuta andare in quegli anni. Quella sera andava in scena l’Aida».
Da quanto manca dal Veneto?
«Ormai sono due anni che non vengo da quelle parti, anche se il pubblico veneto mi dimostra sempre un forte legame. Lì ho frequentazioni giovanili con i Solisti Veneti, ho fatto il lavoro con il violoncellista Mario Brunello, un caro amico, e poi sono tornato a dirigere il primo concerto intero alla Fenice. Già l’anno scorso mi avevano invitato all’Arena e ora con il sovrintendente Cecilia Gasdia ce l’abbiamo fatta. È per me un grande onore e il concerto è dedicato a Claudio Abbado. L’Arena di Verona è il palco dei sogni di tutti i direttori, cantanti e musicisti».
Cos’è la musica classica per lei?
«Una terapia dell’anima. La musica classica è un’esigenza per stare meglio, per migliorare la società. La ascoltiamo da centinaia di anni eppure è sempre nuova e contemporanea perché è magia. Spero di tirare fuori quel bambino che è sempre in me e che riesce a stupirsi per quanto è bella. Vivo di questa musica fin da piccolo e quando salgo sul palco sento tutta la responsabilità di darla agli altri».
Così avvicina alla classica anche chi non la conosce.
«Non esiste chi dice io non capisco nulla di questa musica. La musica va oltre e non mi piace nemmeno l’atteggiamento di chi pensa di sapere tutto e dice cosa è giusto e cosa è sbagliato, bisogna solo lasciarsi andare e farsi coinvolgere».
L’apparizione a Sanremo l’ha resa molto popolare?
«Certo, mi ha reso una grande figura pubblica e popolare. Spesso questo mi pesa, avrei potuto continuare a sfruttare “Following bird” invece ho preferito andare avanti. La popolarità è anche dolorosa: Garcia Lorca diceva che la popolarità è una forma di solitudine, invece per me è una grande responsabilità».
Quanto studia per preparare questo concerto?
«Io studio dalla mattina quando mi sveglio, alla sera quando mi addormento. Sono sempre concentrato a scavare per trovare e scoprire ancora qualcosa, la musica è una dimensione grande. E così sto facendo anche per i Carmina Burana che sono una delle cose più suggestive che ci siano: un inno alla vita in tutte le sue forme».
Raffaella Ianuale
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