Diletta Parlangeli: «Io, esperta di innovazione, litigo con i tasti come fossi mia nonna»

Diletta Parlangeli: «Io, esperta di innovazione, litigo con i tasti come fossi mia nonna»
Sono io, la prescelta. Da una dozzina d’anni su quindici totali di professione, il mio nome prima e il mio volto poi, sono connessi alla tecnologia....

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Sono io, la prescelta. Da una dozzina d’anni su quindici totali di professione, il mio nome prima e il mio volto poi, sono connessi alla tecnologia. “Giornalista-Blogger”, recitava la qualifica sul primo giornale che mi assunse, che poi fu lo stesso a spedirmi come “inviata su Second Life” (un mondo virtuale dei primi anni Duemila). Scrivo e conduco un programma per RaiPlay dedicato all’innovazione, modero eventi che riguardano il digitale, in ogni sua forma. Questa premessa serve solo a svelare la perfidia della richiesta che mi è stata rivolta, cioè quella di mostrare in questa sede il mio lato oscuro, quello che con la tecnologia potrebbe fare a pugni. Non nego che all’inizio la domanda è suonata come un: «Ciao, lo vuoi perdere il lavoro?». Poi ci ho pensato. Ho accettato perché ciò che ha mosso il mio interesse verso la tecnologia sono le persone che la inventano e ancor di più quelle che la usano. Sempre persone. Non sono una da recensioni di prodotto: per me la regola aurea resta “spegni e riaccendi”. L’hardware mi è ostile, il software no. Se un programma si impalla, io premo compulsivamente tasti come una luddista qualsiasi. Quando chiedo agli intervistati «spiegalo come fossi tua nonna» è perché io sono tua nonna. L’attenzione alla socialità prima che fosse “social”, mi ha solo permesso di avere uno sguardo attento al cambiamento. E la tecnologia questo fa: cambia le cose. A partire dalle mie. Non sono più quella di una volta.

IL PASSATO

I post del mio blog (su Aruba e poi Splinder, prima che WordPress ci salvasse), erano molto più intimi nel 2006 di quanto lo siano ora. Stessa cosa sui social network. Un tempo, qui, era tutta una condivisione. Ora meno. Le dinamiche, quando i numeri aumentano, si fanno scivolose. Non sei più con il tuo amico al bar: quello che scegli di pubblicare, sai che avrà una platea più somigliante all’assemblea di condominio. Quando ho iniziato a frequentare le prime chat, i gruppi di partecipanti – sconosciuti, si badi bene – auto moderavano gli interventi. Chi invitava qualcuno a una conversazione privata con fretta sospetta, subiva il terzo grado dei componenti della community. Era una questione di sicurezza. Adesso i moderatori di professione – quelli che controllano immagini e video violenti per non farli arrivare a noi – sono spesso sottopagati e senza adeguato supporto psicologico. Le persone fanno la differenza, i volumi anche. Mi trovo a delimitare contesti in modo più netto di prima: Twitter per le informazioni, Tik Tok le novità, Instagram per una condivisione più pacata, Facebook quanto basta. Metaverso? Vedremo. Insomma, sono sempre io, solo che ogni tanto mi trovo così: luddista per caso.

 

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Il Gazzettino