Quando sale sul palco della sala della Città della Scienza per concludere la due giorni del convegno dei Giovani di Confindustria, da Roma stanno arrivando i primi flash di...
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E sì, perché secondo il leader degli industriali italiani è proprio qui il punto: questi sei anni di crisi «di cui non si conoscono ancora gli esiti», hanno cambiato profondamente il mondo. «Vale la pena domandarsi se non sia giunto il momento di abbandonare alcune nostre certezze consolidate, a partire dall'entusiasmo acritico per la globalizzazione, come via a una crescita inarrestabile» osserva Squinzi. In Italia ai tradizionali e poco invidiabili tre record (pressione fiscale sui redditi da lavoro, evasione fiscale, debito pubblico) si sono aggiunte le macerie della perdita progressiva di competitività, della deindustrializzazione, della contrazione della domanda interna. Lo scenario è preoccupante. La «cieca austerity» imposta da Bruxelles non ha aiutato, e meno male che ora si fa strada «qualche segno di un maggiore buon senso». La speranza - continua Squinzi - è che si apra lo spazio per «un ragionevole tasso di flessibilità». Un merito che il numero uno dell'associazione di viale dell'Astronomia, riconosce al premier.
Ed è in questo che si differenzia in modo radicale il ragionamento di Squinzi da quello della Camusso: la legge di Stabilità, la riforma del mercato del lavoro, «i buoni incipit» dello sblocca Italia, insomma la politica economica che sta mettendo in campo questo governo va nella giusta direzione, «dà speranza». Con l'eliminazione dall'Irap del costo del lavoro («la più perfida delle tassazioni»), con la decontribuzione delle assunzioni a tempo indeterminato, con il ridisegno delle politiche attive e del sistema delle protezioni, «finalmente dopo anni di promesse» si ricostruisce la fiducia. Certo non è sufficiente, vista la profondità della crisi serve «una terapia più robusta». Squinzi, riprendendo una frase del leader degli imprenditori junior, Marco Gay, pronunciata il primo giorno di meeting, ricorda «l'inferno fiscale» a cui sono sottoposte le imprese e chiede meno tasse su capannoni e impianti; invoca «maggiori sforzi» su ricerca e innovazione e un più convinto appoggio al made in Italy; elenca le tante difficoltà del fare impresa dall'accesso al credito alla carenza infrastrutturale, dal gap energetico all'inefficienza della pubblica amministrazione fino alla corruzione. Sono «queste le sfide» che deve affrontare l'Italia. E lo potrà fare - conclude - solo ricorrendo alla «buona politica», attraverso la quale «i diversi soggetti e poteri ritrovino ruoli, responsabilità e spirito di collaborazione».
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Il Gazzettino