«Se chiudo gli occhi lo vedo ancora: era un quadretto di Papa Wojtyla appeso obliquo sulla parete della dependance di Guido e Lucia Pelliciardi dopo il massacro. Aveva resistito...
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All'inizio sembrava un puzzle senza soluzione. «Non avevamo niente in mano ma io sapevo che ce l'avremmo fatta. Lo dissi al mio comandante Paolo Nardone Li troveremo, perchè hanno fatto una cosa troppo brutta per farla franca. Ricordo che i Ris vennero da Roma addirittura in aereo perchè quelli di Parma erano impegnati nel delitto di Garlasco avvenuto pochi giorni prima».
La svolta con il crollo di Alin, il basista. «Fu un momento carico di tensione. Avevamo decine di intercettazioni in corso e finalmente quella telefonata che ci indicò la strada: Alin rispose a una chiamata di Stafa dicendo Qui è brutto brutto...i carabinieri sono dovunque. Da allora non li mollammo più. Portammo Alin in caserma, lo incalzammo per capire quanto e come fosse coinvolto nel massacro. Ci disse: Se io parlo questi mi ammazzano. Erano loro, avevamo trovato le belve di Gorgo. Mancava solo la cattura». Non proprio un dettaglio da poco. «Quando appurammo che Stafa, dopo la fuga, stava tornando nell'Opitergino per far fuori Alin, scattò la trappola. La cattura fu possibile grazie all'autista della corriera che stava portando Stafa da piazzale Roma a Venezia fino a San Donà. Lo contattammo: dobbiamo bloccare un passeggero che si trova ora a bordo della sua corriera, deve simulare una rottura del motore prima di arrivare a San Donà. Ma perchè? Le spiegheremo tutto: si fermi fingendo di non riuscire più a mettere in moto la corriera, poi capirà. Così fece. Il pullman si bloccò. In pochi minuti era circondato: Stafa scese in manette. L'incubo era finito: la Marca tornava a respirare». Cosa ha lasciato Gorgo agli investigatori? «E' stata un'indagine che ha fatto scuola: il sistema di analisi del traffico adottato per le intercettazioni fu innovativo. E poi la consapevolezza di quanto sia fondamentale lavorare in una squadra coesa. Più forte di tutto».
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Il Gazzettino