Salvatore Sciarrino alla Scala «Rendo omaggio a Stradella»

Salvatore Sciarrino alla Scala «Rendo omaggio a Stradella»
L'INTERVISTADi Salvatore Sciarrino, riconosciuto dalla critica come uno dei compositori italiani più significativi del panorama internazionale, colpisce innanzitutto la profonda...

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L'INTERVISTA
Di Salvatore Sciarrino, riconosciuto dalla critica come uno dei compositori italiani più significativi del panorama internazionale, colpisce innanzitutto la profonda umanità, il suo pensare la musica come un dono da dispensare e condividere. «L'arte aiuta a godere la vita e la musica è una delle gioie più grandi», ci confida al telefono da Milano, dove sta assistendo alle prove della sua ultima opera Ti vedo, ti sento mi perdo - Aspettando Stradella, commissionatagli dal Teatro alla Scala e dalla Staatsoper Unter den Linden di Berlino per festeggiare i suoi settant'anni. La prima assoluta, con la regia di Jürgen Flimm e la direzione musicale di Maxime Pascal, andrà in scena a Milano da oggi al 26 novembre 2017 e sarà replicata a Berlino dal 7 al 15 luglio 2018.

La nuova produzione si inserisce in realtà all'interno di una più ampia serie di eventi che la città dedica quest'autunno al compositore siciliano. Milano Musica ha intitolato l'intero festival a Salvatore Sciarrino.
L'eco delle voci e tra le varie iniziative vi è anche una mostra a a Palazzo Reale, Salvatore Sciarrino. Il segno e il suono, promossa da Comune di Milano, Palazzo Reale e Archivio Storico Ricordi, con documenti e materiali sul processo compositivo di Sciarrino provenienti dall'Archivio Storico Ricordi e dalla Fondazione Paul Sacher di Basilea.
Come è nata l'idea della sua ultima opera?
«Tanti anni fa leggendo la vita avventurosa di Alessandro Stradella. La sua musica è romantica, scavalca i secoli e sfiora una sensibilità che sta tra Chopin e Schubert. Addentrandomi nelle sue opere ne ho ammirato il rigore e la profondità e mi è sorto il dubbio che sia frutto di invenzione ciò che si narra di lui».
Quali piani narrativi utilizza nel suo lavoro?
«Agiscono più dimensioni parallele: nella prima, ambientata in un palazzo romano, si assiste alla rappresentazione delle prove di una cantata sul potere di seduzione della musica in cui riecheggiano riferimenti all'antica mitologia, da Ulisse e le Sirene a Orfeo; vi è poi il dialogo tra un musicista e un letterato, l'uno contro, l'altro pro Stradella; nel mezzo agiscono infine i servi di casa che aiutano l'allestimento della scena e attuano una parodia comica e triste dei padroni. Questa polidimensionalità consente un modo cinematografico di entrare e uscire nei personaggi che agiscono sul palco, il tutto all'interno di una messa in scena della messa in scena».
E Stradella?
«Non appare mai, la protagonista assoluta è la sua musica. Ad esempio, all'inizio, si sente suonare un pianoforte in lontananza, sembra musica di Chopin invece è di Stradella».
Quali sono i modelli teatrali a cui si ispira?
«Il teatro antico, Mozart, Monteverdi, ma i modelli vanno metabolizzati e digeriti. Occorre competere con gli antichi, contendere e cercare di superarli. Bisogna avere il coraggio di inventare, di aprire strade nuove e accettare il rischio che non vengano comprese. Sono virtù essenziali il coraggio, la disciplina, la pazienza e l'umiltà. Ognuno ha limiti che possono diventare dei pregi. Ho imparato molto dall'insegnamento e dalle figure più importanti della trazione: siamo quello che è stato anche quando lo rinneghiamo».
Quale è secondo Lei il ruolo del teatro oggi?

«Il teatro è la più sociale delle forme d'arte, per questo lo pratico con entusiasmo e coscienza. Vi rappresentiamo i nostri difetti. In quest'opera, per esempio, ambientata in un Seicento inventato, trapelano le intolleranze, lo sgretolamento della società che saremmo in grado di evitare. C'è un piacere del vivere insieme e del bene comune che l'Italia sta dimenticando. L'arte esorcizza il dolore rappresentandolo e ci aiuta a godere la vita».
Letizia Michielon
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Il Gazzettino