OLTRE IL CALCIO PORDENONE Per lui la parola chiave, in economia come nel pallone,

OLTRE IL CALCIO PORDENONE Per lui la parola chiave, in economia come nel pallone,
OLTRE IL CALCIOPORDENONE Per lui la parola chiave, in economia come nel pallone, è sostenibilità del progetto. Giancarlo Migliorini, 56 anni, è stato un calciatore eclettico....

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OLTRE IL CALCIO
PORDENONE Per lui la parola chiave, in economia come nel pallone, è sostenibilità del progetto. Giancarlo Migliorini, 56 anni, è stato un calciatore eclettico. Ha cominciato da terzino, poi si è spostato a centrocampo e infine è diventato attaccante esterno. Morale: ha esplorato tutto il campo, in lungo e in largo, perché è un tipo curioso. Già manager aziendale, anche alla corte della San Marco di un Amilcare Berti allora presidente della Triestina, ha appena accettato una nuova sfida: fare il direttore generale nel Pordenone del Centenario, che giocherà la prima stagione della sua storia in B con l'obiettivo della salvezza.

- Migliorini, nel luglio del 2017 lei si era dimesso dallo stesso ruolo. Adesso cosa l'ha spinta ad accettare di rimettersi in corsa?
«Ero uscito dal giro perché in quel momento ritenevo finito un ciclo. Quel Pordenone aveva bisogno di un dg a tempo pieno e io non potevo esserlo. Per due anni mi sono dedicato a lavoro e famiglia, limitandomi a fare il tifoso e non dando seguito a un altro paio di offerte che mi erano giunte. Però con il presidente Mauro Lovisa ho sempre mantenuto un rapporto schietto e diretto. Subito dopo la festa della promozione mi ha telefonato e proposto un impiego full-time. Credo che anche la mia esperienza nel mondo dell'impresa abbia avuto un peso e ho ritenuto che i tempi adesso fossero maturi».
- Come valuta la serie B che state per affrontare?
«Ho grandi stimoli, che rappresentano un valore aggiunto al contributo che sarò chiamato a dare alla crescita della nostra organizzazione. La nuova, straordinaria categoria è un esame che vogliamo superare a pieni voti tutti insieme. Sono orgoglioso della fiducia e stima trasmessemi dalla proprietà e dai soci: li ringrazio e mi rimbocco le maniche».
- Alla base del calcio professionistico moderno c'è un modello di business. Come si gestisce un club?
«Diciamo che è un'impresa assolutamente atipica, sia nel conto economico che sul piano organizzativo. La chiave resta la sostenibilità. Una società pro è complessa, ha mille sfaccettature che vanno dai rapporti con la Questura agli oneri della Siae, dai tesseramenti dei giocatori alla comunicazione. Qui siamo avvantaggiati dal fatto che il presidente Lovisa l'aveva già immaginata così ai tempi della D, strutturandola di conseguenza».
- Quanto le è servita al De Marchi l'esperienza con i Condor?
«Molto, anche in termini d'impostazione solidale della pratica sportiva. Quando sposai Sonia, nel lontano 1991, mi trasferii ad Azzano Decimo. Lì Giuseppe Geremia mi coinvolse nel sodalizio, grazie al quale entrai poi nella Consulta nazionale giovanile e mi ritrovai a collaborare alla riforma Burelli dei campionati. Poi arrivarono il Pordenone e tutto il resto».
- Ma che campionato sarà?
«Come tutte le prime esperienze: duro e da scoprire. La B è una Lega con regole diverse dalla C, un torneo lungo e molto fisico. In più noi dobbiamo giocare alla Dacia Arena di Udine, stadio prestigioso, ma anche casa d'altri».
- Perché l'imprenditoria del Friuli Occidentale resta lontana dal Pordenone Calcio?
«Il discorso sarebbe lunghissimo. Sappiamo che il nostro tessuto industriale si è impoverito nel tempo. Non ci sono più figure come Zanussi e Savio, neppure in termini di subfornitura e indotto. Pesano invece gli effetti di globalizzazione e crisi. In uno scenario di questo tipo probabilmente oggi non si riesce a comprendere che, al di là di proprietà e quote azionarie, il Pordenone può rivelarsi l'espressione forte di un'intera comunità. Giocando a Venezia, Verona, Empoli, Perugia esporta il nome, il marchio, la voglia di riscossa e l'orgoglio della città».
- Un brand vincente, insomma?
«Certo. Dietro le maglie dei ramarri ci sono valori forti: un vivaio che ha portato più di 20 ragazzi a giocare in serie A e B, due scudetti consecutivi degli Under 17, una trentina di società affiliate su un territorio che va da Jesolo alla Carnia, 3 mila 500 studenti raggiunti con il progetto scuola, la rinuncia ai soldi di uno sponsor per far conoscere in Italia la mission dell'Area giovani del Cro».
- Un unico aggettivo per descrivere Mauro Lovisa?
«Direi straordinario. Da appassionati dobbiamo tutti dirgli grazie: già nel 2008 parlava di serie cadetta».
- Stesso discorso: il figlio Matteo, capo dell'Area tecnica?
«Precursore, ricordiamoci che ha 23 anni».
- Il ds di ieri, Mauro Pinzin?
«Grande tessitore».
- Attilio Tesser?
«Una garanzia».
- Bruno Tedino?
«La competenza».
- Giampaolo Zuzzi?
«Il pasionario».
- I tifosi neroverdi?
«Beh, qui non si può sintetizzare. Diciamo che hanno fatto tutto il percorso di crescita con la squadra: due playoff promozione, la Tim Cup a San Siro, il salto in B. È stato un innamoramento progressivo. Oggi vedo allo stadio e al De Marchi diversi bambini, insieme a fans storici e ultras capaci di trasferte proibitive. Il gruppo è riuscito ad avvicinare al calcio anche chi prima non lo seguiva».
- Però i vostri abbonati alla Dacia Arena sono un migliaio, 200 dei quali udinesi. Meritereste di più?

«Francamente sì. Speriamo che la festa verdenera di martedì sera regali all'ambiente un'altra bella spinta d'entusiasmo».
Pier Paolo Simonato
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Il Gazzettino