«Noi non guariamo, però curiamo. Credetemi: in quei momenti, quando il

«Noi non guariamo, però curiamo. Credetemi: in quei momenti, quando il
«Noi non guariamo, però curiamo. Credetemi: in quei momenti, quando il paziente è sopraffatto da dolori terribili e gli passa per la mente l'idea di farla finita, ridurre il...

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«Noi non guariamo, però curiamo. Credetemi: in quei momenti, quando il paziente è sopraffatto da dolori terribili e gli passa per la mente l'idea di farla finita, ridurre il dolore è comunque fondamentale. Anche se non ci sono speranze di salvarsi».

Il dottor Giuseppe Micheletto è il direttore dell'area Cure palliative dell'Ulss 6 Euganea per la zona di Camposampiero e Cittadella. È stato lui a ricevere Lodino Marton lo scorso dicembre, quando era ormai chiaro che non ci fosse più nulla da fare e lui desiderava soltanto smetterla di soffrire.
Dottor Micheletto, che paziente si è trovato davanti?
«Una persona determinata, perfettamente cosciente della propria situazione. Era molto debole, aveva dolori muscolari e neuropatici. Abbiamo proposto un percorso di terapia e lui ha accettato, iniziando ad assumere dei farmaci specifici per lenire il dolore. Sapeva di non poter guarire ma chiedeva di essere curato. Quando questi pazienti paventano l'idea di farla finita, stanno solamente chiedendo aiuto».
Quanti ne vedete, nelle vostre due sedi?
«Circa 600 all'anno. L'età-media è sui 60 anni ma ne abbiamo anche sotto i 40. Il 90% sono pazienti oncologici, poi abbiamo malati di Sla e di altre gravi patologie. Quasi tutti muoiono nell'arco di un anno, gli altri resistono pochi mesi di più».
Com'è composta la vostra equipe?
«Abbiamo medici, infermieri, psicologi. E ci appoggiamo ad assistenti sociali, fisioterapisti e altri specialisti. L'obiettivo è accompagnare questi pazienti lungo la fase finale della malattia senza troppa sofferenza. Sediamo i sintomi come il dolore, la mancanza di respiro, il delirio. La nostra non è un'azione finalizzata alla morte, come l'eutanasia. Il nostro è solo un accompagnamento che cerca di offrire il miglior livello possibile di qualità della vita».
I pazienti cosa chiedono?
«Vogliono sapere quanto soffriranno ancora. Sono spaventati dal dolore, e noi cerchiamo almeno di ridurre quello».
Gabriele Pipia
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Il Gazzettino