La zona grigia di Moravia

La zona grigia di Moravia
IL LIBROIndagare il grigio: è un po' questa l'ispirazione di fondo dell'ultimo libro di Simon Levis Sullam, I fantasmi del fascismo. Le metamorfosi degli intellettuali italiani...

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IL LIBRO
Indagare il grigio: è un po' questa l'ispirazione di fondo dell'ultimo libro di Simon Levis Sullam, I fantasmi del fascismo. Le metamorfosi degli intellettuali italiani nel dopoguerra (Feltrinelli, euro 19). Levis Sullam insegna Storia contemporanea nell'università di Venezia, si occupa di fascismo e antifascismo e prova a smontare luoghi comuni, come quello che gli intellettuali debbano essere per forza di cose anticonformisti. Recentemente Levis Sullam è finito agli onori della cronaca per un post su Fb contro Giorgia Meloni con annessa veemente polemica. Il libro analizza le vicende di Federico Chabod, storico; Piero Calamandrei, giurista; Luigi Russo, critico letterario; Alberto Moravia, scrittore; quattro intellettuali identificati nel Dopoguerra come antifascisti che durante il fascismo avevano invece avuto posizioni di inazione o cautela, se non di vera a propria collaborazione.

LA RIFLESSIONE
«La maggior parte degli italiani», afferma Simon Levis Sullam, «sono stati fascisti. Non voglio dare giudizi moralistici, bensì mettere in discussione l'idea che gli intellettuali siano anticonformisti, possono al contrario essere sedotti dal potere. Hanno subito forti condizionamenti, soprattutto nel caso di un regime dittatoriale come quello fascista che faceva pressioni e aveva cercato di influenzarli». E in questo senso risulta molto interessante la riflessione del germanista Giaime Pintor, morto nel 1943 dilaniato da una mina mentre cercava di raggiungere Roma per partecipare alla Resistenza: «L'antifascismo è esistito in Italia almeno in tre forme. La prima forma è caratterizzata dall'astensione ed è stata propria dei vecchi liberali e di tutti coloro che ne hanno ereditato la formazione: costoro badavano soprattutto a non macchiarsi e insistevano quindi sugli atti di valore formale (iscrizione al partito, saluti, dare del lei). Il secondo atteggiamento è quello che si può chiamare cospirativo e che fu proprio di tutti i fuoriusciti e di un certo numero di antifascisti italiani (per esempio i comunisti). A questo secondo gruppo appartengono quasi tutte le migliori energie del tempo accanto a molti esaltati irresponsabili. Infine una terza tendenza di cui pochissimi però furono consapevoli è quella a cui si trova portata la nostra generazione più giovane. Astenersi fin dalla nascita, è poco più che il suicidio, così tutti noi ci trovammo mescolati, chi più chi meno, nella vita contemporanea e disposti a raccoglierne i frutti. Questa posizione che era molto pericolosa perché poteva confondere facilmente gli animi più deboli, era però la più feconda: essa segnava il superamento definitivo dell'antitesi fascismo-antifascismo».
L'INDAGINE
Come si vede, Pintor esprimeva rilievi critici anche nei confronti delle «migliori energie» antifasciste, affermando che tra loro si trovavano «molti esaltati irresponsabili». Significativo, per esempio, il caso di Alberto Moravia che collabora con il quotidiano fascista Il Tevere, fondato da Telesio Interlandi che in seguito fonda anche La difesa della razza, in buona compagnia poiché compaiono tra le firme anche quelle di Giuseppe Ungaretti e Corrado Alvaro. Moravia diventa decisamente antifascista nel 1937 dopo l'assassinio, a Parigi, dei cugini Carlo e Nello Rosselli. «Nel 1951», spiega Levis Sullam, «scrive Il conformista, romanzo dove fa i conti con il proprio passato e racconta la storia del protagonista che va a Parigi per uccidere il suo ex professore di lettere antifascista, dove parla di compromessi letterari e consapevoli che sono stati i suoi».
LE CONTRADDIZIONI
Federico Chabod fa la Resistenza e alla fine degli anni Quaranta tiene a Parigi lezioni nelle quali parla del consenso, ma in precedenza aveva collaborato con lo storico Gioacchino Volpe che era vicino a Giovanni Gentile ed era stato sedotto dall'imperialismo fascista. Piero Calamandrei, osserva Levis Sullam, «scrive libri sulla Resistenza, esperienza che non ha fatto, sebbene il figlio Franco fosse un gappista che ha partecipato all'attentato di via Rasella. La Resistenza è stata un fenomeno minoritario, non tutti avevano il coraggio di impugnare le armi». «Mi interessava studiare», continua Levis Sullam, «la zona grigia tra fascismo e antifascismo, un modo importante di dire cosa l'Italia fosse stata. Se era andata così tra le élite, figuriamoci nel resto della popolazione. Non dobbiamo idealizzare gli intellettuali. Nel 1936 la guerra d'Etiopia ha avuto un gradissimo sostegno e dubito che questo sostegno si sia incrinato con le leggi razziali del 1938, come oggi si tende a pensare. In realtà il vero punto di svolta è stata la guerra. Oggi parliamo molto della ritirata di Russia, ci sono anche importanti opere letterarie che ripercorrono quell'esperienza, ma in Russia ci siamo anche andati, accanto ai nazisti. Non ci siamo solo ritirati, siamo anche andati in Russia».
LA QUESTIONE CONSENSO
Il tema del consenso era stato affrontato da Renzo De Felice, uno storico a suo tempo molto criticato per aver scritto che il regime fascista godeva di vasta popolarità. «Una parte della storiografia», risponde Levis Sullam, «ha criticato De Felice quando parlava si consenso: in effetti c'è stato, anche se talvolta imposto con la violenza, anche se ottenuto attraverso le organizzazioni di massa che lo favorivano. Tuttavia De Felice negli anni Ottanta e Novanta si identifica sempre di più con il suo biografato Mussolini. Si è sempre più spostato verso destra, per esempio affermando che l'Italia era rimasta fuori dal cono d'ombra dell'Olocausto, definendo la Rsi repubblica necessaria. Comunque il consenso del regime fascista oggi è riconosciuto anche dalla storiografia antifascista».
L'ATTUALITÀ

Venendo all'oggi, la figura dell'intellettuale anticonformista continua a rimanere discutibile. «Il fascismo oggi», afferma Levis Sullam, «è un fantasma europeo, come dimostra l'alleanza tra l'ungherese Viktor Orban, la francese Marine Le Pen, gli italiani Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Una parte del mondo della cultura esprime consenso verso di loro, come Ernesto Galli della Loggia che auspica un premierato di Giorgia Meloni, oppure attraverso lo spazio dato a una serie di figure intellettuali che sfilano negli studi televisivi. Credo nella funzione critica degli intellettuali, nel giornalismo che fa domande. Va rilevata una tendenza generale della società verso il conformismo, come diceva Piero Gobetti dovuta anche alla mancanza di una riforma protestante e quindi al valore di tenere la schiena dritta. Gobetti muore nel 1926 esule a Parigi per le conseguenze dei pestaggi fascisti; l'intellettuale liberale definiva il fascismo come autobiografia della nazione italiana, in contrasto con un altro intellettuale liberale, Benedetto Croce, che lo riteneva una parentesi della storia. A parere di Gobetti, invece, il fascismo parla di noi».
Alessandro Marzo Magno
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Il Gazzettino