«L'ovovia si poteva fermare prima Un errore sceglierla e portarla avanti»

«L'ovovia si poteva fermare prima Un errore sceglierla e portarla avanti»
A leggere certe affermazioni, non si può non reagire, riportando i fatti così come si sono svolti». Architetto Roberto...

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A leggere certe affermazioni, non si può non reagire, riportando i fatti così come si sono svolti».

Architetto Roberto D'Agostino, a cosa si riferisce?
«Alle dichiarazioni degli ex assessori sull'ovovia del ponte di Calatrava».
In particolare?
«In particolare quando il mio amico Marco Corsini e Mara Rumiz dicono che non si poteva fermare quel progetto che non avrebbe mai funzionato».
Anche lei però è stato assessore, prima con Cacciari (fu lei il padre politico del ponte, così come del people mover) e poi proprio nella giunta Costa che diede il via libera all'ovovia...
«Sì, ma con Costa ne uscii al momento del voto e la mia posizione di contrarietà era nota allora ed è sempre stata nota».
Quindi l'ovovia si sarebbe potuta fermare?
«Ma certo, eventuali penali sarebbero comunque state inferiori al costo finale dell'opera, oltre 1.8 milioni».
Lei ha sempre detto anche che non si sarebbe mai dovuta fare.
«Certamente, il ponte non aveva bisogno di alcun marchingegno per farlo attraversare alle carrozzine e ai disabili. Per il semplice fatto che qualunque intervento avrebbe comportato tempi e modalità più complesse rispetto all'uso dei vaporetti per andare da sponda a sponda del Canal Grande, strada che infatti è stata scelta da questa amministrazione Brugnaro».
Però già nel 1999, quando si decise di costruire il ponte, con la Giunta Cacciari di cui lei faceva parte, la legge obbligava ogni nuova opera pubblica ad abbattere le barriere architettoniche, prevedendo sanzioni e la dichiarazione di non conformità dell'opera stessa in caso di inosservanza.
«Si, ma un ponte non è un'opera pubblica che rientra in questi obblighi. È come una scala, una costruzione che collega due rive pubbliche. Non ha una fruizione e un uso pubblico come una scuola, un ospedale, un teatro. Lo stesso Calatrava in sede di progettazione, con la giunta Cacciari, sottopose un paio di soluzioni per abbattere le barriere, come un servoscala a scomparsa sulle spallette del ponte e una pendenza diversa sulle rampe. Ma quando fu scelto il progetto, si decise di non fare nulla. E le amministrazioni che vennero dopo di noi averebbero potuto e dovuto tenere questa linea. Solo che cedettero alle pressioni in ambito accademico di chi voleva mettere ostacoli a Calatrava. Quindi l'ovovia non avrebbe dovuto esistere».
Colpa di chi la decise?
«La responsabilità della prima decisione fu della giunta Costa, quella della fase esecutiva della giunta Cacciari che venne dopo...».
Scusi, si rischia il cortocircuito. La giunta Cacciari decise di costruire il ponte senza servoscala, rampe o altri sistemi per abbattere le barriere, mentre l'ultima giunta Cacciari portò avanti l'ovovia? Non c'è una contraddizione politica?
«Ma nella prima amministrazione Cacciari la questione delle barriere non arrivò nemmeno in giunta. Se ne parlò come opportunità, ma non si ritenne il servoscala elemento necessario, per le considerazioni che ho espresso prima. Fu quando il ponte cominciò a prendere forma che la questione tornò d'attualità. Ci fu una campagna accademica romana, ricordo anche gli interventi di Paolo Portoghesi, che sollevò la questione dell'accessibilità del ponte. La giunta Costa decise per l'ovovia spinta da questa pressione, quando subentrò la giunta Cacciari in effetti non si ebbe il coraggio di rompere con la scelta precedente».
E lei lo disse al suo ex sindaco?
«Certo, lo feci presente in tutti i modi. Ma non ebbero il coraggio di segnare una rottura, in questo, con l'amministrazione Costa».
Resta il fatto che l'ovovia c'è e non ha mai funzionato.

«Ma anche se funzionasse, non la userebbe nessuno. Dentro fa caldo, è lentissima, ci vuole sempre un tecnico a disposizione... Chi fatica a camminare sceglierebbe sempre il vaporetto».
Davide Scalzotto
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Il Gazzettino