Ira di Conte: basta diktat e veti dei partiti Duello con Di Maio e Renzi sull'evasione

Ira di Conte: basta diktat e veti dei partiti Duello con Di Maio e Renzi sull'evasione
IL RETROSCENAROMA Dopo aver visto prima Nicola Zingaretti e poi Luigi Di Maio intitolarsi i meriti della legge di bilancio e aver sentito Matteo Renzi lanciare l'ennesimo aut aut,...

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IL RETROSCENA
ROMA Dopo aver visto prima Nicola Zingaretti e poi Luigi Di Maio intitolarsi i meriti della legge di bilancio e aver sentito Matteo Renzi lanciare l'ennesimo aut aut, Giuseppe Conte ha perso la pazienza. «Sono stufo di questo teatrino che serve solo ad alimentare la tensione. E sono stanco degli altolà e di diktat che hanno scandito la trattativa», è sbottato con i suoi, «la manovra economica serve ai cittadini, non ai partiti di maggioranza per piantare le loro bandierine, portare avanti i loro interessi e difendere il proprio tornaconto. Non permetterò più questo teatrino».

Non è un caso che il premier abbia declinato al futuro il suo avvertimento. Ad di là dei proclami e dei canti di vittoria di Di Maio e di Zingaretti e del mugugnare amaro di Renzi che può intestarsi solo lo stop all'aumento dell'Iva (in asse con i 5Stelle), la partita non è affatto chiusa. Il governo ieri notte si limitato ad approvare la cornice della manovra economica (il documento programmatico di bilancio) i titoli e le cifre complessive. Ma i dettagli, la «ciccia vera», come dicono al Mef, verrà decisa da qui a lunedì prossimo, quando verrà approvata la legge di bilancio e il decreto fiscale. E già si annuncia un nuovo Vietnam a causa della scarsità delle risorse e della corsa dei partiti della maggioranza giallorosé a mettere le loro impronte sulle varie misure.
IL FRONTE CALDO
Lo scoglio più duro che si annuncia è quello della lotta all'evasione fiscale. Conte, al pari di Di Maio, nei giorni scorsi era partito chiedendo «manette e carcere per chi evade il fisco». E il Guardasigilli grillino, Alfonso Bonafede, era corso a scrivere «personalmente» l'inasprimento delle pene per gli evasori (da 6 a 8 anni di carcere, per poter utilizzare le intercettazioni), più la confisca dei beni e un abbassamento delle soglie (da 150 mila a 50 mila) sia per l'omesso versamento di «ritenute dovute e certificate» (tasse e Iva), sia per le dichiarazioni infedeli (da 250 mila a 100 mila euro). Poi, però, è arrivato lo stop di Dario Franceschini cui risulta indigesto - per una volta d'accordo con Renzi - il giustizialismo economico: «Serve tempo e prudenza, la materia è molto delicata».
Conte, per evitare guai seri, ha deciso di accettare il consiglio di Zingaretti di rinviare la questione. «Possibilmente con una legge ad hoc». Conclusione: il decreto fiscale che avrebbe dovuto contenere il giro di vite, è stato posticipato ed è sparito dall'ordine del giorno del Consiglio dei ministri di ieri notte insieme al carcere per gli evasori. E da qui a lunedì prossimo sarà battaglia.
La prova: Di Maio, che fa delle manette la propria bandiera e non ha alcuna voglia di scontentare professionisti, commercianti e artigiani, ha reagito alla...grillina: per ritorsione ha frenato sull'uso della moneta elettronica e la lotta alle spese in contanti, le misure che stanno più a cuore al premier per siglare il «patto tra cittadini onesti contro gli evasori». Conte, però, non ha alcuna intenzione di indietreggiare e con lui il ministro dell'Economia, Roberto Gualtieri impegnato a rastrellare fondi. «Serve coraggio. Potrò dirmi appagato», ha scandito il premier a Tirana prima di rientrare a Roma, «solo quando il contrasto al nero sarà efficace. Accettare che tanti cittadini onesti debbano pagare di più perché altri non pagano le tasse è la più grande iniquità sociale». Pronta la replica di Di Maio: «E' troppo facile accanirsi su un commerciante o su un piccolo artigiano che si spezzano la schiena per la propria famiglia. Piuttosto si pensi a colpire i grandi evasori che hanno portato i soldi all'estero. Questo è il coraggio che voglio vedere: colpire i pesci grossi, i potenti, e non chi a malapena riesce ad arrivare a fine mese».
Altro fronte di scontro, collegato al primo, sarà quello sull'uso del contante. Qui a ad andare alla guerra sono sempre i 5Stelle e Renzi che, stritolato dalla triangolazione tra Conte, Di Maio e Franceschini impegnati a dimostrare che Italia viva non ha alcuna golden share nella maggioranza giallorosé e nel governo, ha fatto sapere: «Abbassare da 3 mila a mille euro la soglia dei pagamenti in contanti è uno schiaffo al mio governo che l'alzò. Se andate avanti, questa misura ve la votate voi». Salvo poi, capita l'aria (l'ex premier ha dovuto ingoiare anche la sopravvivenza di quota 100), avanzare due richieste. La prima: l'azzeramento delle commissioni bancarie sulle carte di credito. La seconda: far scendere gradualmente (in tre anni) la soglia dei 3 mila euro. E in soccorso del premier corrono i grillini, impegnati a difendere commercianti e artigiani.
LO SCAMBIO PD-M5S
Uno scambio è da registrare infine tra Di Maio e Zingaretti. Il leader grillino, di fronte al muro alzato dal Pd, ha dovuto rinunciare al taglio del cuneo fiscale a favore delle aziende, che gli sarebbe servito per ottenere il varo del salario minimo. Ma come contropartita ha ottenuto la rinuncia del capo dem e di Gualtieri a ritardare le finestre di uscita di quota 100. Misura che avrebbe permesso di rastrellare 500 milioni.

Da qui a lunedì, però, di tempo per litigare ce n'è. Eccome.
Alberto Gentili
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Il Gazzettino