Ilva, non c'è solo Taranto A Marghera rischiano in 70

Ilva, non c'è solo Taranto A Marghera rischiano in 70
LAVOROMARGHERA I venti di crisi soffiano forti anche a Porto Marghera e sono molte le aziende che stanno soffrendo. Ma ci sono qualche centinaio di persone che rischiano di...

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LAVORO
MARGHERA I venti di crisi soffiano forti anche a Porto Marghera e sono molte le aziende che stanno soffrendo. Ma ci sono qualche centinaio di persone che rischiano di restare senza lavoro da un giorno all'altro. Sono i 70 dipendenti veneziani dell'Ilva, e decine e decine di trasportatori (camionisti e imprenditori) che rischiano di chiudere per mancanza di acciaio da movimentare. L'azienda a Taranto ha la più grande acciaieria d'Europa che, però, il gruppo franco-indiano ArcelorMittal ha intenzione di chiudere. In attesa di sapere come andrà a finire, se il Governo deciderà di nazionalizzare il Gruppo o se riuscirà a far recedere ArcelorMittal (che, però, nel frattempo è pronta a investire 5,8 miliardi di dollari in India, assieme a Nippon Steel, per l'acquisto di Essar Steel, altra acciaieria in crisi), a Marghera ci sono dunque centinaia di famiglie in angoscia perché, se davvero verranno spenti gli altoforni pugliesi, anche la base logistica di Marghera verrà chiusa e i dipendenti resteranno a casa, e i camionisti resteranno senza commissioni.

LA MOBILITAZIONE

La sede di via dei Sali 1, con banchina sul canale industriale Nord, è lo snodo cruciale per l'acciaio che serve alle centinaia di aziende manifatturiere attive in provincia di Venezia e nell'intero Nordest che, se non arriverà più quello prodotto a Taranto, dovranno rifornirsi anche all'estero spendendo di più e quindi perdendo competitività. Ma per quelle 70 persone che lavorano a scaricare le navi provenienti dalla Puglia e per le decine di camionisti e imprenditori del trasporto, il problema è molto più urgente e grave. Perciò i sindacati veneziani dei metalmeccanici hanno aderito allo stato di agitazione e agli scioperi proclamati dalle segreterie nazionali, e venerdì scorso hanno incrociato le braccia per il primo dei tre giorni previsti: «La multinazionale ha posto al Governo delle condizioni provocatorie e inaccettabili, e le più gravi riguardano la modifica del piano ambientale, il ridimensionamento produttivo a soli 4 milioni di tonnellate di acciaio e la richiesta di licenziamento di 5 mila lavoratori oltre alla messa in discussione del ritorno al lavoro dei 2 mila attualmente in Amministrazione straordinaria» hanno affermato Fim-Cisl, Fiom-Cgil e Uilm nazionali. I Sindacati hanno chiesto al Governo «di non concedere alcun alibi alla multinazionale per disimpegnarsi, ripristinando tutte le condizioni (incluso lo scudo penale limitato all'applicazione del Piano ambientale e il ritiro di qualsiasi ipotesi di esuberi) in cui si è firmato l'accordo del 6 novembre 2018 che garantirebbero la possibilità di portare a termine il risanamento ambientale di Taranto». A queste richieste sono appese anche le speranze dei 70 lavoratori Ilva di Marghera e dei trasportatori veneziani. Tra l'altro per i camionisti e gli imprenditori il problema è duplice perché, non solo rischiano di non avere più merce da trasportare alle aziende del Nordest, ma sono già in crisi da tempo perché, nonostante la legge 123 del 2017 abbia inserito gli autotrasportatori tra i creditori prededucibili dell'Ilva commissariata, le imprese aspettano ancora il pagamento dei servizi di trasporto effettuati negli anni.
Elisio Trevisan
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Il Gazzettino