Il ricatto lo conosciamo tutti, fa parte della storia del capitalismo di oggi, avido e spregiudicato, pronto a sacrificare l'uomo sull'altare del profitto: meglio morire...
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Fortemente voluto dal produttore e protagonista Mark Ruffalo e ispirato all'inchiesta giornalistica del New York Time Magazine (The lawyer who became DuPont's worst nightmare), Cattive acque segue la lotta ventennale, fuori e dentro le aule di un tribunale, di un uomo normale contro un gigante economico che non teme nessuno, svelando con raggelante lucidità come sia quasi impossibile, per i comuni mortali, difendersi da un sistema (governo, potere economico o finanziario) che risponde soltanto alla regola del guadagno.
Haynes si affida a una fotografia livida e glaciale che delimita mondi cupi e minacciosi, fatti di raggelanti geometrie cittadine, di fredde stanze-riunioni, di fabbriche-monstre che incombono su una campagna sporca rivestita di tombe di animali, tra i bambini dai denti neri che corrono in bici, mucche che impazziscono e attaccano, dolorosi camera-car su abitanti/fantasma di una cittadina che sta morendo e non sa come salvarsi.
Ne esce un thriller teso e asfissiante, in cui la telecamera si muove lentamente, quasi per sottrazione, seguendo l'ossessione di un piccolo uomo disposto a sacrificare lavoro e affetti nel nome della giustizia e di tutti coloro che non possono proteggersi dalle folli esagerazioni di Golia. «Il sistema è corrotto» grida disperato Biliot alla moglie (Anne Hathaway), perché nessuna amministrazione o agenzia pubblica può davvero controllare i gruppi, e nessun governo può tutelare i cittadini dai potenti che vivono solo di denaroo. A morire restano sempre i più deboli. Ormai sempre di più: e come confermano i titoli di coda, il 90% della popolazione mondiale porta nel proprio sangue tracce di Pfoa.
Chiara Pavan
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Il Gazzettino