Il dato è indubbiamente positivo. Nel 2017 i visitatori dei musei italiani

Il dato è indubbiamente positivo. Nel 2017 i visitatori dei musei italiani
Il dato è indubbiamente positivo. Nel 2017 i visitatori dei musei italiani hanno superato quota 50 milioni (+5 milioni sul 2016), con il conseguente record dei ricavi a 193,6...

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Il dato è indubbiamente positivo. Nel 2017 i visitatori dei musei italiani hanno superato quota 50 milioni (+5 milioni sul 2016), con il conseguente record dei ricavi a 193,6 milioni di euro (+20 milioni sull'anno precedente, pari a +10,2%). Tale risultato, però, stona con il fatto che da ogni ingresso si ricavino, in media, solo quattro euro. D'altra parte, basterebbe il confronto con il Louvre che, da solo, fattura più della somma di tutti i musei italiani per capire che siamo ben lontani dall'obiettivo della giusta valorizzazione economica dei nostri beni culturali rispetto alle loro straordinarie potenzialità. Certo, da qualche anno il trend è positivo, con i visitatori cresciuti dai 38,4 milioni del 2013 ai 50 del 2017 (+30%) e i ricavi passati dai 126,4 milioni di euro del 2013 ai 193,6 del 2017 (+52,6%). Risultati che derivano da un mix di fattori quali la riforma che ha istituito l'autonomia per i musei statali, la già esistente possibilità di mettere a reddito certe strutture e alcune iniziative che incoraggiano le visite (3,5 milioni gli ingressi nelle domeniche gratuite del 2017), oltre al trend positivo del turismo. Ma se a livello complessivo il comparto cultura in Italia genera 17 miliardi di pil e 300mila occupati, a fronte dei 27 miliardi e 550mila lavoratori della Francia e i 35 miliardi e 670mila occupati della Germania (che non hanno certo il nostro patrimonio culturale), è palese che possiamo fare meglio. A patto, però, di sciogliere alcuni nodi. Il primo, nemmeno a dirlo, è culturale. Perché se viaggiamo ad una media di quattro euro a visitatore contro gli oltre 20 del Louvre, tanto per fare un esempio, ciò è dovuto al prevalere dell'ideologia della gratuità, a sua volta figlia dell'idea pauperistica che con la cultura non si deve mangiare, che ad associarla al business si fa peccato mortale. Invece, occorre rovesciare il paradigma: si riconosca quanto la cultura sia un bene prezioso, raro e meritevole di investimenti. E che come tale non può e non deve essere né regalato né svenduto. Anche perché il giusto prezzo, cioè quello di mercato, assicura maggiori introiti, i quali potrebbero (dovrebbero) essere destinati a nuovi e quanto mai necessari investimenti per restauri e valorizzazioni. Che è il secondo nodo che va sciolto: abbinare conservazione dei beni e sviluppo del comparto come componente fondamentale del nostro pil. Il che significa riequilibrare il rapporto tra tutela e valorizzazione, che fu stravolto dalla nefasta riforma del Titolo V, che assegnò la prima allo Stato e la seconda, in via concorrente, alle Regioni. Infine, occorre imprenditorializzare il settore dei beni culturali (con lo Stato garante della qualità), facilitando l'ingresso dei privati e la concorrenza, in particolare nelle attività collaterali, migliorando i servizi annessi (libreria, souvenir, ristorazione) e incentivandone l'uso. Oggi solo il 7% di chi entra in un museo italiano ne usufruisce, cifra sale al 16% al Louvre, al 31% al British e al 33% alla London National Gallery. Ciò aiuterebbe a promuovere un'offerta più strutturata, funzionale e coerente.

Insomma, se il trend è positivo la strada da fare è ancora molta. Anche con nuove, coraggiose riforme. Quella che istituisce l'autonomia dei musei ci ha messo una toppa, principalmente per i 20 più grandi, ma non basta. (twitter @ecisnetto)
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