Primo capitolo di una trilogia Mektoub, my love: Canto Uno, dove mektoub significa destino, si concentra soprattutto su Amin, un giovane tunisino che vive a Parigi e sogna di...
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Aperto da una poderosa scena erotica, certo un dettaglio rispetto ai furibondi assalti della Palma d'oro ottenuta dal regista tunisino con La vita di Adèle nel 2013, echeggia frammenti di cinema rohmeriano e narrazioni care a Linklater, tramutando i corpi e la carne, il sole e l'acqua, i bar e le discoteche, e i lungomari dell'esistenza in un cinema che si fa energia. Amin (alter ego del regista, soprattutto nella lirica nascita degli agnelli) osserva ciò che scorre attorno a lui, in una diversità intatta di artista; e noi con lui. Forse la sequenza della discoteca era davvero troppo lunga e in fase di definitiva struttura è stata appunto accorciata; per alcuni l'insistenza verso il lato b femminile potrebbe dar fastidio, specialmente a un pubblico di donne, ma in un film che gronda erotismo è coerente. E insomma: se si mostra troppo si esagera, se si mostra poco si è pudichi; e allora è forse meglio la prima soluzione.
Resta un film come pochi, disarcionato da responsabilità narrative: è un'opera a suo modo radicale, che cerca la luce, come è da subito chiaro all'inizio, con quelle scritte tratte dal Vangelo e dal Corano. E la luce fu. (adg)
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Il Gazzettino