Berlino, ora Ligabue ha il volto di Germano

Berlino, ora Ligabue ha il volto di Germano
CINEMAUn uomo, una comunità, spesso in conflitto tra di loro; l'accettazione del diverso, in questo caso un'artista segnato dalla vita: il mondo di Giorgio Diritti si muove, fin...

OFFERTA SPECIALE

2 ANNI
99,98€
40€
Per 2 anni
ATTIVA SUBITO
OFFERTA MIGLIORE
ANNUALE
49,99€
19€
Per 1 anno
ATTIVA SUBITO
 
MENSILE
4,99€
1€ AL MESE
Per 3 mesi
ATTIVA SUBITO

OFFERTA SPECIALE

OFFERTA SPECIALE
MENSILE
4,99€
1€ AL MESE
Per 3 mesi
ATTIVA SUBITO
 
ANNUALE
49,99€
11,99€
Per 1 anno
ATTIVA SUBITO
2 ANNI
99,98€
29€
Per 2 anni
ATTIVA SUBITO
OFFERTA SPECIALE

Tutto il sito - Mese

6,99€ 1 € al mese x 12 mesi

Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese

oppure
1€ al mese per 3 mesi

Tutto il sito - Anno

79,99€ 9,99 € per 1 anno

Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno
CINEMA
Un uomo, una comunità, spesso in conflitto tra di loro; l'accettazione del diverso, in questo caso un'artista segnato dalla vita: il mondo di Giorgio Diritti si muove, fin dal suo esordio con Il vento fa il suo giro, dentro tali coordinate, raccontando le difficoltà della convivenza fatta di storie aspre e problematiche. In questo, la sponda che riserva un personaggio come Antonio Ligabue, pittore scomparso nel 1965, abbandonato ancora bambino e osteggiato per la sua bruttezza e il suo comportamento disturbato, ma al tempo stesso prepotentemente votato alla vita, non poteva che essere tappa ideale per il suo cinema.

L'OMAGGIO
Volevo nascondermi è il primo film italiano che passa in Concorso alla Berlinale, un biopic che esplora l'universo sociale in cui l'artista si è mosso, quella Padania emiliana, che echeggia nelle aie e nelle case contadine, tra gli animali domestici e quelli immaginari esotici, protagonisti indiscussi delle sue tele. Un film che cerca l'atmosfera e l'inquietudine, che sfiora la creatività con la follia e che forse non sa prendere una strada così radicale di un racconto che si accasa tra cronaca popolare e disagio mentale, perdendo forza, nonostante l'interpretazione di Elio Germano (che sarà presente, martedì prossimo, anche nell'altro film italiano in gara per l'Orso) rischi la prova caricaturale, almeno nelle sue espressioni più bizzarre.
GRANDE FASCINO
Un film comunque che lascia un segno sulla fascinazione di un personaggio che attraverso l'arte ha riscattato una vita. Il regista non ha dubbi: «Ligabue ha tantissimi livelli di interesse. La sua vita è iniziata subito in salita, abbandonato dalla madre, preso in casa da altri soprattutto perché a quell'epoca questo valeva un sussidio, e in giovinezza già persona con problemi fisici come il rachitismo e disturbi mentale. Decisamente un uomo sfortunato, che però ha capito come nell'espressione artistica potesse esistere un riscatto. Ed ecco allora la sua grande energia per essere finalmente riconosciuto. Il film vuole indicare una riflessione su come un uomo votato probabilmente al suicidio, abbia al contrario lottato, conquistando un suo spazio, alla ricerca delle cose più essenziali della vita, come innamorarsi, trovare finalmente una famiglia. Ho cercato di trovare un condensato emotivo dove tutti gli emarginati dalla società potessero riconoscersi. Mi interessava più l'uomo dell'artista, suggerire una dimensione cromatica, il riflesso di quello che lui vedeva, il paesaggio che lo circondava».
IL RUOLO DI ELIO
Poi è chiaro che molto finisce sulle spalle e sulla faccia di Elio Germano, che non disdegna prove agli accenti forti, qui aiutate anche dall'uso di protesi per pronunciare la deformità: «Senza il ricorso al trucco prostetico, che mi obbligava a prepararmi sul set per ore, non avrei potuto ottenere quel risultato che si vede sullo schermo, ma comunque non volevo far recitare questa deformità, ma renderla viva attraverso le emozioni. Ho cercato di catturare Ligabue attraverso i pochi video a disposizione, in più ascoltare chi lo aveva conosciuto e far leva sulla grande aneddotica che sul personaggio è straripante, perché su di lui si raccontano anche cose al limite dell'inverosimile. Mi sono sentito molto più piccolo davanti alla sua complessità. La sua storia è dentro il suo paesaggio, il suo territorio, soprattutto quello interiore, fin dalla sua infanzia».
IL RICORDO DI BUCCI

Chiaro che in questi giorni segnati dalla scoperta di Flavio Bucci, che fu Ligabue per la televisione nel 1977 sotto la direzione di Salvatore Nocita, lasciando un ricordo indelebile, il confronto sia un po' inevitabile: «No, non ho guardato la sua interpretazione. Non ho lavorato su questo per differenziarmi. Ho voluto essere libero da ogni condizionamento. Ma mi dispiacerebbe che ricordassimo oggi Flavio soltanto per questa sua performance e non per un attore che va ricordato per la sua poliedricità, con tutta la sua fragilità, umanità messa sempre al servizio degli altro. Al confronto con Bucci invece ci ha riservato del tempo, il regista: «Volevo discostarmi il più possibile, fare un altro discorso, molto personale, anche attraverso l'uso di un dialetto che desse autenticità, perché le lingue sono identità precise e nel film ci sono anche l'italiano e il tedesco, essendo lui nato a Zurigo».
Adriano De Grandis
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino