A Cannes l'horror di Jarmusch non convince

A Cannes l'horror di Jarmusch non convince
Di paura si può morire. Ma soprattutto di paura si può anche ridere. E allora la paura prende altre strade, si affretta a farsi commedia, chiede di giocare con i canoni del suo...

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Di paura si può morire. Ma soprattutto di paura si può anche ridere. E allora la paura prende altre strade, si affretta a farsi commedia, chiede di giocare con i canoni del suo stesso racconto, dove gli attori smettono i panni dei loro personaggi e si scambiano battute sulla colonna sonora e sulla sceneggiatura e le azioni violente e brutali si disinnescano in un rituale più farsesco: ci si potrebbe anche sbudellare dalle risate, visto che stiamo parlando di zombi, però questo risultato primo film della 72. edizione del festival di Cannes non lo ottiene e The dead don't die, con la firma eccellente di Jim Jarmusch (nella foto), apre immediatamente la lista delle delusioni.

A Jarmusch non riesce il tratto parodistico tipo Per favore, non mordermi sul collo!, di polanskiana memoria, e si affloscia in siparietti al massimo simpatici, dove nemmeno la chiave politica riesce a trovare una forza decisiva. La sensazione è che Jarmusch proceda sempre più per sottrazione nel suo cinema attuale, ma senza trovare un'estetica e un poesia così calibrata come era successo con Paterson.
Certo il tema dell'Uomo che sta distruggendo il pianeta affiora, il pessimismo regna sovrano, la critica all'America trumpiana è evidente, la Luna si mostra in cielo in modo inquietante, la Terra ha spostato il suo asse, ma il canovaccio è debole, le situazioni ripetitive e nemmeno l'ennesimo sguardo attonito di Bill Murray, il carnevale di teste tagliate con la katana da Tilda Swinton, la consueta inafferrabilità di Adam Driver, il ricorso a facce amiche come Steve Buscemi, Iggy Pop e Tom Waits, i riferimenti cinematografici a George Romero, Samuel Fuller eccetera tolgono il film da una spirale celebrativa e tutto sommato a vuoto.
Che la metafora politica sia evidente, come altrettanto fragile, è chiaro: «Più che la politica, a me interessano le coscienze, le persone, anche se in questo film c'è il mio pensiero su una certa politica che mi spaventa», dice il regista, accolto comunque da grandi applausi. Non lo dice apertamente, ma l'idea che l'America degli zombi rappresenti le pulsioni di quella odierna trumpiana, non ci vuole molto capirlo: «L'oggi è piuttosto spaventoso».
L'omaggio a Romero era inevitabile: «Lui ha cambiato lo sguardo su queste figure mostruose. Io preferisco i vampiri, ma gli zombi sono creature che fanno emergere dal di dentro il Male, è un punto di vista diverso».

Adriano De Grandis
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Il Gazzettino