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TREVISO - In tutto sono 2.306. E non è detto che se si dovesse andare a dibattimento possano aumentare ancora. Sono gli ex possessori di azioni di Veneto Banca che si sono costituiti parte civile all'udienza preliminare che vede imputati, per l'ipotesi di reato associazione a delinquere finalizzata alla truffa aggravata ai danni dei clienti per un importo di 107 milioni di euro, l'ex amministratore delegato ed ex direttore generale Vincenzo Consoli assieme ad altri quattro manager: l'ex condirettore generale ed ex responsabile dell'area commerciale Mosè Fagiani, l'ex responsabile della direzione centrale pianificazione e controllo Renato Merlo, il suo successore Giuseppe Cais, e l'ex direttore del settore Capital management Andrea Zanatta. Ieri, davanti al gup Piera De Stefani, si è infatti tenuta la seconda udienza dedicata a chiudere le costituzioni delle vittime. Ora si torna in aula il prossimo 5 marzo per le questioni preliminari e, soprattutto, le eccezioni della difesa.
LE ACCUSE
Nella richiesta di rinvio a giudizio di Consoli e degli altri quattro manager di Veneto Banca, i pubblici ministeri Massimo De Bortoli e Gabriella Cama sostengono che l'ex Ad, Fagiani, Merlo, Cais e Zanatta «promuovevano, costituivano e organizzavano o, comunque, partecipavano a un'associazione per delinquere finalizzata alla commissione, mediante induzione in errore del personale dipendente di Veneto Banca S.c.p.a, Banca Apulia S.p.A.
IL DOMINUS
Come per il processo per falso in prospetto e ostacolo alla vigilanza bancaria, conclusosi con una sentenza di condanna in primo grado, anche per questo filone d'indagine Vincenzo Consoli viene descritto il promotore dell'associazione a delinquere. «Avvalendosi dei suoi poteri di incontrastato ed effettivo dominus della banca - scrivono i magistrati - assumeva ogni decisione in merito alla determinazione del prezzo dell'azione Veneto Banca e influiva illecitamente sulle decisioni del Cda e dell'assemblea dei soci, presentando personalmente i piani strategici dell'azienda e le proposte per il prezzo delle azioni». Se Consoli sapeva e decideva tutto, gli altri quattro manager non hanno fatto nulla perché questo non accadesse. Le responsabilità ipotizzate dalla Procura di Treviso sono chiare, e divise per ruolo di competenza. Ma la sintesi è la medesima: sapevano che la banca «si trovava in una situazione patrimoniale e finanziaria assai critica». Partendo da questo presupposto «inducevano i componenti del Cda e l'assemblea dei soci, a mantenere costantemente ed eccessivamente elevato il prezzo unitario delle azioni, favorivano il mantenimento dell'effettivo e assoluto potere direttivo concentrato nella persona di Vincenzo Consoli, adottavano modalità gestionali atte a dissimulare lo stato di difficoltà finanziaria della banca e impartivano pressanti disposizioni al personale dipendente dirette a incoraggiare la vendita di titoli azionari».
Il Gazzettino