Noale, avamposto della solidarietà:«Così aiutiamo i rifugiati ucraini»

Due delle rifugiate ucraine accolte al Fassina
NOALE Batte forte il cuore di Noale per gli ucraini. Sono nel complesso più di un centinaio, in prevalenza donne con i figli bambini o ragazzini, le persone che, in fuga...

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NOALE Batte forte il cuore di Noale per gli ucraini. Sono nel complesso più di un centinaio, in prevalenza donne con i figli bambini o ragazzini, le persone che, in fuga dalla guerra, hanno trovato rifugio al padiglione Fassina dell’ex ospedale, dopo viaggi peripezie di migliaia di chilometri. È l’hub per la provincia, ma anche per il Padovano e il Rodigino. Gli ucraini arrivano spesso di notte. Vengono accolti per una settimana, massimo dieci giorni, in attesa di essere smistati nelle rispettive destinazioni ultime. La struttura è quasi alla capienza massima (65 gli ospiti attuali), il turnover continuo. La presenza si è fatta numericamente significativa e si riflette in paese, dove s’intravvedono segnali di normalità. Li incontri a passeggio in centro, in piazza Castello o attorno alla rocca; seduti ai tavolini della pasticceria e della gelateria o su una panchina affacciati al sole che inizia a scaldare. I piccoli giocano ai giardini. La lingua straniera è un ostacolo per la comunicazione. Bisogna ricorrere al traduttore simultaneo sullo smartphone o cercare di spiegarsi a gesti. Ma tante volte basta un cenno di saluto e un sorriso, per abbattere certe barriere. Il Comune monitora la situazione con in testa la sindaca Patrizia Andreotti.


L’INTEGRAZIONE
«Oltre la sistemazione d’emergenza dobbiamo lavorare tutti per l’integrazione», dice la vice Alessandra Dini, intenta a consegnare borse cariche di ogni bene donato da tanti cittadini. La macchina della solidarietà è grande: dentro il Fassina la Protezione civile del distretto del Miranese, gli scout dell’Agesci e i Carabinieri in congedo si occupano dell’accoglienza e di tutta la parte amministrativa, sistemando carte e documenti. Alcune assistenti familiari che già vivono in Italia da anni, fanno da interpreti. Mediatori e psicologi danno assistenza e supporto. I giovani della Croce rossa di Venezia intrattengono i piccoli con giochi e disegni. Le stanze dell’ex glorioso ospedale, riaperto due anni fa per il Covid, hanno ripreso vita nei cinque i piani; il terzo ha spazi dedicati per l’isolamento degli eventuali positivi. I vari cartelli con le indicazioni sono bilingue. Sono state create delle zone giorno, munendo le tv di decoder, altrimenti non funzionano. C’è una sorta di spaccio interno di beni di prima necessità e si sta organizzando un servizio di lavanderia. Alle donne sono stati regalati degli asciugacapelli.


I BISOGNI E GLI AIUTI
C’è bisogno di biancheria intima per persone che, scappando di fretta, non hanno portato nulla con sé, nel vero senso della parola. Nel contempo, fuori dall’ex ospedale in tanti si danno da fare. «Abbiamo stampato delle mappe tradotte in ucraino, con l’indicazione dei negozi», spiega Dini. Alcune famiglie hanno aperto le porte di casa, atre si preparano a farlo. Qualcuno ha offerto abitazioni libere per qualche mese. La Caritas sostiene gli aiuti. Anche la parrocchia si è messa a disposizione per raccogliere cibo in chiesa e offrire attività in patronato attraverso il Noi. Il Gruppo missionario fa scatoloni di cose utili di ogni genere all’ecocentro. A Moniego l’associazione il Gruppone lavora anche ad alcuni inserimenti a scuola. La generosità non ha confini: tanta gente sta dando del proprio; un’azienda ha regalato un migliaio di maglie; un’altra due bancali di prodotti per l’igiene.


CONTO CORRENTE


«Abbiamo aperto un conto corrente – aggiunge Dini – per sostenere le spese più urgenti e per aiutare le famiglie che stanno accogliendo e non possono contare su alcun contributo». Si susseguono le riunioni operative per coordinare gli interventi. «Dopo i primi giorni di assestamento, siamo a regime», afferma il coordinatore della Protezione civile Marco Da Lio. «Chiediamo se ci siano persone disponibili a ospitare e per sostenere con amicizia chi già lo fa. Va tutto costruito giorno per giorno», spiega il parroco, don Antonio Mensi, raccontando un aneddoto: «Quando è scoppiata la guerra mi trovavo in chiesa per un sopralluogo con l’architetto. Ci siamo imbattuti, sui banchi in fondo, in alcune badanti che pregavano. Ecco, la loro prima reazione è stata questa: venire a pregare». Due ragazzini ucraini, in età da scuola media, si guardano intorno un po’ spaesati e chiedono come fare per avere una scheda telefonica. Ti spiegano che adesso almeno si sentono al sicuro. Per il momento la loro nuova casa è qui, in una Noale che da una ventina di giorni si sta mobilitando coralmente. La speranza che accomuna tutti è che la guerra finisca presto e il futuro sia migliore.
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Il Gazzettino