C'è la "tassa sul giudice" ma nessuno lo sa: scatta la riscossione

Cittadini debitori: il più delle volte non lo sanno
TREVISO - Cinquantamila euro. A tanto, migliaio più migliaio meno, corrisponde quello che ogni anno il Tribunale di Treviso è costretto a rincorrere, arrivando quasi...

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TREVISO - Cinquantamila euro. A tanto, migliaio più migliaio meno, corrisponde quello che ogni anno il Tribunale di Treviso è costretto a rincorrere, arrivando quasi sempre a far scattare la riscossione coattiva, per incassare i contributi unificati che devono essere pagati da chi presenta ricorso davanti al Giudice di Pace contro una multa, una sanzione comminata da un Comune o da altra pubblica amministrazione, oppure avverso la Prefettura, ad esempio nel caso dei provvedimenti di sospensione della patente.


Il più delle volte non si tratterebbe di tentativi di fare i furbi quanto di vera e propria ignoranza sulle regole che sono entrate in vigore dal 2010 e con cui è stata introdotta una sorta di tassa sul giudice, soldi da tirare fuori per la presentazione di atti giudiziari in procedimenti ordinari contro le sanzioni amministrative.
Le cifre vanno da 43 fino a 273 euro per atto, a seconda dell'importo della sanzione. Ma il massimo del contributo si deve sborsare anche quando questa sia indeterminata o indeterminabile, come nel caso della sospensione della patente o della decurtazione di punti.

A Treviso ricorsi di questa natura se ne contano circa 500 all'anno su un totale di 9.000 cause civili, suddivise tra quelle che si svolgono davanti al giudice di pace del capoluogo e quello di Conegliano. E siccome per presentare un ricorso contro una multa non serve l'avvocato, secondo gli stessi uffici del Giudice di Pace di Treviso gran parte di quelli che si affidano al fai da te, una raccomandata e via, non sanno neppure dell'esistenza del contributo. Ma sono più della metà del totale.

«Parliamo - spiega Bruno Sansoni, funzionario giudiziario a capo dell'ufficio del Giudice di Pace di Treviso - di un problema vero e serio. La gente non è a conoscenza della norma e poi scattano i guai: noi cerchiamo di contattare questi cittadini per informarli che deve essere pagato il contributo ma molto spesso non si riesce ad avere una risposta. E così partono le procedure di riscossione con aggravi di costi». A passare attraverso le maglie larghe dei controlli sono, ogni anno anno, in almeno trecento. Sì perché al momento pare non esserci una modalità per essere certi che chi presenta ricorsi al giudice di pace paghi il contributo prima di arrivare in aula. Oltre alle marche da bollo infatti il versamento va fatto attraverso il modello F23. E succede che si venga a sapere chi ha pagato e chi no solo dopo la conclusione del procedimento.


«Va anche detto - sottolinea Sansoni - che vi è una pronuncia della Corte di Cassazione che nel 2016 ha definito l'applicazione del contributo ai livelli più alti, dove non sia determinato o determinabile l'ammontare della sanzione amministrativa, una grave limitazione del diritto all'accesso alla giustizia». Come dire: se metti una tassa per andare in tribunale i procedimenti per i ricorsi se li possono permettere solo quelli che i soldi li hanno.
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Il Gazzettino