«Così insegno in una scuola con alunni da dodici paesi»

«Così insegno in una scuola con alunni da dodici paesi»
VENEZIA - Gli insegnanti si fanno in tre, anzi in quattro o forse anche in cinque. Riescono a seguire una classe con bambini di diverse etnie procedendo con un unico programma, ma...

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VENEZIA - Gli insegnanti si fanno in tre, anzi in quattro o forse anche in cinque. Riescono a seguire una classe con bambini di diverse etnie procedendo con un unico programma, ma proponendo percorsi diversi a seconda del livello di conoscenza della lingua. «L’integrazione è maggiore quando gli alunni stranieri vengono inseriti nei primi due anni delle scuole primarie, si complica invece con il procedere delle classi» spiega Fausta Gimma, da vent’anni dietro ad una cattedra. Nelle sue parole il grandissimo lavoro richiesto ad un insegnante che lavora in classi multietniche.

Insegna alle scuole primarie dell’istituto comprensivo “Grimani” di Marghera: qui il sessanta percento degli studenti iscritti è straniero. La scuola accoglie infatti tra i propri banchi ragazzini provenienti da dodici diversi paesi. «Cina, Pakistan, Bangladesh, Kosovo, Turchia, Romania, Moldavia e via di seguito - prosegue Gimma - se arrivano piccoli raggiungiamo livelli buoni di integrazione, se giungono più grandi le dinamiche si complicano. I ragazzini notano di più le differenze: si guardano o criticano se una loro compagna viene a scuola con il capo coperto o se si portano per merenda alimenti diversi dai loro». In ogni caso c’è qualche aiuto a sostegno dell’insegnante. «Abbiamo i mediatori comunali del Comune e un primo corso di alfabetizzazione, di circa venti ore, finanziato dal Miur - dice la maestra - poi lo studente viene inserito in classe e per esperienza vediamo che l’integrazione maggiore avviene proprio dal contatto con i coetanei. Cerchiamo di lavorare per gruppi per agevolare lo scambio».

Tutto però si complica ulteriormente se un ragazzino arriva ad anno scolastico ormai avviato oppure se ne va e poi ritorna. «Se gli alunni iniziano a frequentare le lezioni a settembre si riesce a lavorare abbastanza bene - spiega - è più complesso invece se gli studenti stranieri vengono inseriti ad anno scolastico inoltrato. Poi ci sono i flussi: studenti che iniziano a frequentare, poi ritornano al paese d’origine con la mamma, mentre il papà rimane in Italia. E di seguito si ripresentano dopo un anno o due e perdono ogni forma di continuità». Il tipo di lavoro che un docente riesce a fare dipende pure dalla terra di origine del ragazzino: «Se arrivano dalla Romania e dalla Moldavia sono abituati a frequentare scuole simili alle nostre, se invece giungono da Pakistan e Bangladesh hanno un concetto della scolarizzazione diverso dal nostro». Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino