La scuola ha vinto la prima sfida, ma gli studenti hanno paura: "Non vogliamo tornare a casa"

Il rientro a scuola al Kennedy di Pordenone
PORDENONE - Nessuno si azzardi a chiamarla normalità. Senza ricreazione in giardino, al minimo sindacale della socializzazione, con una mascherina in qualche caso indossata...

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PORDENONE - Nessuno si azzardi a chiamarla normalità. Senza ricreazione in giardino, al minimo sindacale della socializzazione, con una mascherina in qualche caso indossata per tutta la mattina (senza essere pagati per farlo), con gli occhi del mondo addosso. Ma è quanto ci si poteva permettere, e per ora va bene così. La scuola figlia del Covid, quella dei sette mesi chiusi in casa davanti a un computer con un professore-cyborg nello schermo e i compagni in piccoli riquadri sgranati, si è rimessa in marcia. Un fiume, quello che ha colorato le strade di Pordenone, diventato mare nella zona del centro studi, dove il profumo della semi-normalità si è sentito di più. Dall’asilo ai licei, tutti in classe. In un mondo nuovo, ma tutto sommato digerito. Premessa: qualche assembramento c’è stato, praticamente inevitabile, ma la stragrande maggioranza degli studenti ha capito che è da loro che passa la continuità della ripartenza. E così la mascherina, spesso indossata male o non indossata dagli adulti, è comparsa quasi ovunque. 

IL VIAGGIO
Ore 11.30, area del Centro studi. I primi ad archiviare il giorno uno della nuova scuola sono stati gli studenti dei due grandi licei: Grigoletti e LeoMajor. «C’è stata un po’ di confusione all’entrata - racconta una ragazza del Grigoletti -, soprattutto a causa del badge per entrare. Lì si è creato un po’ di ammassamento, ma sempre con la mascherina. Le protezioni - aggiunge - le dobbiamo tenere anche al banco, perché la distanza tra i banchi non è sempre di un metro». Qualcosa, quindi, è “saltato”, ma si risolve il problema aumentando il grado di sicurezza delle protezioni. «Niente ricreazione», prosegue. Si inizierà a farla solo oggi, ma seduti al banco. Niente passeggiata e niente macchinette automatiche. Dopo ogni ora i bidelli igienizzano la cattedra. «Dobbiamo resistere - spiega invece uno studente del Leomajor -, non può essere questa la normalità, ma il futuro passa da noi». Un discorso da liceale puro. C’è però anche chi fa notare alcune difficoltà: «Faceva molto caldo - prosegue uno studente del Grigoletti - e con la mascherina addosso per tutto il giorno mi sembrava di svenire». Le protezioni, nella maggior parte dei casi, le ha fornite l’istituto, ma tanti studenti sono arrivati già muniti delle proprie. Stessa situazione al Flora, dove anche durante la ricreazione la mascherina dev’essere sempre indossata. Al Mattiussi, invece, alcuni insegnanti hanno scelto anche la visiera protettiva. 
Dieci minuti dopo l’una, invece, è stato il turno dell’onda del Kennedy. Al suono della campanella d’uscita, un fiume di ragazzi ha lasciato l’istituto di via Interna. All’uscita qualche disagio legato al traffico, e un po’ di confusione dovuta all’alto numero di studenti presenti nello stesso momento. Ma l’ammassamento, va precisato, è stato solo momentaneo. E soprattutto protetto. Sull’organizzazione dell’istituto, solo complimenti da parte dei ragazzi. «Molto bene i percorsi separati, sono estremamente precisi». Un plauso anche da parte degli insegnanti: «I ragazzi sono stati bravissimi, hanno sempre portato la mascherina e c’è stato un rispetto esemplare delle regole. Non è facile, ma la prima prova è stata superata». 
I TIMORI

È però viaggiando tra gli studenti fuori dalle scuole, che si può tastare il vero polso dell’universo scuola. E c’è la sensazione che di fiducia, sul prosieguo dell’annata, ce ne sia davvero poca. Soprattutto tra i ragazzi stessi. L’opinione predominante è questa, e spaventa: «Secondo noi - ripetono come un mantra praticamente tutti i giovani intervistati - la scuola in presenza durerà al massimo due settimane. Al primo contagio si scatenerà il panico e richiuderanno tutto». Frasi figlie della paura e dei lunghi mesi passati a casa, più che basate sulla realtà dei fatti. Ma tant’è, il sentimento era questo. «Tanti nostri coetanei non rispettano le regole fuori dalla scuola», suggerisce una ragazza seduta sul bordo del parco San Valentino. E la vera sfida, infatti, non è certo quella del primo giorno. La partita la si giocherà sul piano della continuità. Solo tenendo duro si potrà dar torto ai ragazzi, per una volta pessimisti sul colore da assegnare al futuro.  Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino