Aprì un mese prima della pandemia: la trattoria costretta a chiudere

La trattoria Al Porton
SANTA GIUSTINA - «In questo periodo ho provato a resistere ma le spese sono tante e il lavoro davvero poco, non ci sto più dentro… non ce la faccio...

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SANTA GIUSTINA - «In questo periodo ho provato a resistere ma le spese sono tante e il lavoro davvero poco, non ci sto più dentro… non ce la faccio più». Massimo Sartirana, 60enne titolare della trattoria Al Porton di Santa Giustina, ha dovuto abbassare la serranda del suo locale. Per sempre. Le restrizioni del governo per contenere la pandemia l’hanno messo in ginocchio, spiega. Così, a un anno e mezzo dall’apertura della trattoria ha deciso di chiudere prima che fosse troppo tardi. Sono gli effetti secondari del virus. Contagi, ricoveri, morti ma anche tante persone in difficoltà a causa di restrizioni talvolta poco chiare che hanno messo in crisi gli esercenti.


IL MOMENTO DIFFICILE
«La chiusura – ha spiegato Massimo – è dovuta principalmente al covid-19. Abbiamo aperto un mese prima che chiudessero tutto. E da allora non abbiamo lavorato per nulla: apri, chiudi, mezzogiorno, sera, lockdown, mascherina, ora il green pass. Il lavoro si è ridotto infinitamente e non riusciamo più ad andare avanti». La trattoria Al Porton era stata aperta il 25 gennaio 2020. Dopo un mese e mezzo, per essere precisi l’11 marzo, era arrivata la chiusura totale, imposta dal governo per tre mesi a causa dell’aumento improvviso dei contagi. «Quando ho aperto – ha raccontato il titolare della trattoria di Santa Giustina – la gente veniva. Il locale era rimasto chiuso anni, quindi ero preoccupato, invece ho dovuto assumere personale perché non riuscivo a star dietro ai clienti. Siamo partiti alla grande». Di lavoro ce n’era, forse troppo. Nessuna poteva immaginare, però, che nel giro di qualche settimana la vita di tutti sarebbe cambiata in modo drastico: «Con il lockdown ci hanno ammazzato e il lavoro è calato sempre di più. L’ultimo ristoro che mi è arrivato era di 400 euro, ma cosa ci faccio? Riesco a pagare solo una bolletta della luce. Non ci hanno aiutato in nessun modo per permetterci di andare avanti». Causa covid, i coperti del locale sono dimezzati passando da 40 a 20. La trattoria aveva anche una terrazza esterna ma inutilizzabile d’inverno, per le temperature troppo rigide, e nei giorni di pioggia (tanti, anche negli ultimi mesi).


CLIENTI PERSI


«Ho fatto diversi lavori nella mia vita – ha spiegato Massimo – ma da 30 anni sono cuoco. Ho fatto le stagioni, lavorato in proprio, ora sono un po’stanco. Non vedo nessun futuro, non vedo nulla davanti a me. Sono sempre stato una persona positiva e ora non lo sono più perché c’è sempre qualcosa che non va. Prendiamo il green pass. Ho sentito persone dire: “Io ho il green pass ma non voglio andare a mangiare con la tessera”. Sono clienti che perdiamo». Su una corsia parallela ci sono i locali “furbetti” che permettono alle persone senza certificazione di entrare e consumare al tavolo. È un circolo vizioso senza via d’uscita in cui a rimetterci sono ancora una volta coloro che si comportano in modo virtuoso seguendo quanto dice la norma. Cercano di resistere fino all’ultimo finché, a un certo punto, la corda si spezza. Questo è accaduto a Massimo Sartirana: «Chiudere è stata una decisione sofferta ma non si può lavorare in perdita ed era diventato insostenibile». Accanto a lui c’era la nipote, poco più che ventenne, che tra poco si laureerà per incamminarsi, probabilmente, su una strada diversa da quella cominciata un anno e mezzo fa. Massimo si dice stanco: «Ho 60 anni e non ho tanta voglia di rimettermi in gioco. Se riesco a trovare un lavoro come dipendente da qualche parte, fino ad arrivare alla pensione, avrò meno preoccupazioni. Perché qui siamo arrivati a non dormire di notte. Sono molto stressato: non è bello lavorare in questo modo». Ma sorridendo, dall’altra parte del telefono, specifica: «Io non mi abbatto mai, bisogna sopravvivere sempre».

 

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Il Gazzettino