Salute mentale e giovani, l'Usl: «Le richieste di aiuto sono aumentate del 20 per cento»

Leonardo Meneghetti, direttore del Dipartimento di Salute mentale dell'Usl 2
TREVISO   - Le richieste di aiuto per disturbi del comportamento alimentare sono cresciute del 55%. L’impennata balza all’occhio confrontando i dati di oggi...

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TREVISO   - Le richieste di aiuto per disturbi del comportamento alimentare sono cresciute del 55%. L’impennata balza all’occhio confrontando i dati di oggi con quelli pre-Covid. E i ricoveri in ospedale sono aumentati di 5 volte. Il problema riguarda soprattutto i più giovani. In Pediatria i ricoveri per questo tipo di disturbi sono passati dai 9 del 2019 ai 40 dell’anno scorso. Mentre gli accessi per altri problemi psichici, a partire dall’autolesionismo, sono cresciuti del 30%. Il quadro generale, alla fine, dice che i giovani seguiti dal dipartimento di Salute mentale dell’Usl della Marca sono aumentati di quasi il 20%. Nel 2019 si erano contati 934 under24 (compresi 85 sotto i 17 anni). L’anno scorso si è saliti a 1.115 (compresi 119 sotto i 17 anni). Per Leonardo Meneghetti, direttore del dipartimento di Salute mentale, il problema maggiore sembra essere proprio quello dei disturbi del comportamento alimentare: «L’anno scorso il centro provinciale di Treviso ha avuto un aumento del 55% di richieste di aiuto rispetto al 2020. Metà da minori, anche sotto i 14 anni. Sempre l’anno scorso ben 39 giovanissimi hanno avuto bisogno di un ricovero ospedaliero, contro gli 8 del 2019 e i 20 del 2020».


Sono gli effetti dell’emergenza Covid?
«La pandemia ha reso ancora più evidenti fragilità e vulnerabilità che normalmente caratterizzano preadolescenti e adolescenti, che hanno trovato in un investimento patologico sul corpo un possibile mezzo di espressione e condivisione con i coetanei di un profondo disagio psicologico personale».


Lo si è visto anche nei pronto soccorso?
«Negli ultimi due anni sono aumentati gli accessi di giovani con sofferenza psicologica acuta. Con una particolare rilevanza delle varie modalità attraverso le quali viene espresso e agito un “attacco al corpo”: anoressia, autolesionismo, consumo di sostanze d’abuso, tentati suicidi, disturbi d’ansia acuti, disturbi da attacchi di panico, forme di ritiro sociale, forme depressive. Le visite psichiatriche effettuate in pronto soccorso per giovani di età inferiore ai 17 anni sono passate dalle 92 nel 2019 alle 109 dell’anno scorso».


C’è un collegamento diretto con lockdown, limitazioni e tutto ciò che l’epidemia ha comportato?
«Non c’è dubbio che ha maggiormente toccato le persone più fragili. E gli adolescenti sono soggetti fragili per definizione. Ha inciso su una popolazione, quella dei giovani, che già registrava un costante aumento di disagi e disturbi neuropsichici. Ma dire che la pandemia costituisce automaticamente un evento traumatico che necessariamente comporta conseguenze psicopatologiche è una distorsione. La sofferenza psichica non è mai l’effetto diretto di un unico fattore scatenante».


Quanto ha inciso la didattica a distanza sui ragazzi delle scuole?
«Per molti giovani il confinamento forzato è stato motivo di grande sofferenza. Ma dobbiamo anche dire che molti non hanno vissuto la didattica a distanza come particolarmente problematica. Così come si deve riconoscere che da tempo, ben prima della pandemia, stavamo assistendo a uno scenario di isolamento sociale, digitalmente caratterizzato, tra smartphone, social e realtà virtuali, che è stato messo a nudo dalla pandemia stessa».


È possibile mettere in relazione gli effetti dell’emergenza Covid con il fenomeno delle baby gang?
«Anche psichiatri e neuropsichiatri infantili hanno detto che il fenomeno è in qualche modo correlabile con le conseguenze della pandemia. Non c’è dubbio che le restrizioni, l’isolamento, la perdita del lavoro di molti genitori e i problemi economici abbiano esacerbato il disagio di alcune frange di popolazione».

L’aumento dell’aggressività di parte dei giovani può essere in qualche modo una difesa rispetto a un senso di smarrimento, di vuoto, di paura nei confronti di un futuro molto incerto?
«È possibile, ma personalmente andrei molto cauto nel considerare plausibile una correlazione diretta. Si tratta di un problema di ordine pubblico, e come tale va affrontato. Possibili considerazioni sulle motivazioni che spingono questi giovani a mettere in atto comportamenti violenti e antisociali, in un secondo momento».


Nell’ambito della psichiatria, come in altre specialità, c’è una pesante carenza di specialisti. Si riesce comunque a dare le risposte necessarie?


«Un problema difficilissimo da affrontare riguarda la necessità di individuare i principali bisogni di salute mentale che un servizio pubblico deve prendere in carico. Questo anche in relazione alla carenza di personale, soprattutto medici, e alla necessità di indirizzare le risorse disponibili nel modo più efficace, individuando delle priorità. Il lavoro in rete con i diversi attori che la comunità mette a disposizione (Usl, enti locali, associazioni e volontariato, ndr) si inserisce a pieno titolo in questa problematica. Durante il lockdown, comunque, i nostri servizi sono sempre rimasti aperti, adottando e implementando inoltre alcune misure terapeutiche come la telemedicina e le visite domiciliari».

 

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Il Gazzettino