PADOVA - È una storia d'altri tempi, di un'azione di guerra partigiana durante il secondo conflitto mondiale e di una mina fatta esplodere per ritardare la ritirata...
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LA SCOPERTA
A scoprirla, il figlio Fabio Di Stasio, 56 anni, commercialista e direttore di Artigianfidi di Padova: «Stavo sistemando delle foto di mio papà e ho trovato questi due documenti che lui aveva conservato tra le cose care. Non me ne aveva mai parlato, quando gli chiedevo della guerra e di due ferite che aveva alla mano e alla gamba sinistra, era sempre molto evasivo. Ora so».
Il perché lo spiega quel foglio battuto a macchina a Pontebba, in provincia di Udine, il 14 luglio 1947. A scrivere è Federico Buliani, nome in codice partigiano Barba. È lui a certificare che il sig. Di Stasio Romano ha effettivamente ed in maniera notevole dato il suo contributo alla lotta di liberazione dal 24/11/44 all'8/5/45.
Succede tutto il 28 aprile 1945. I tedeschi che battevano in ritirata, non risparmiandosi di infierire sulle popolazioni che incontravano. E i partigiani che quella ritirata cercavano di ostacolarla in tutti i modi. Tra loro, anche il giovane Romano Di Stasio, volontario nei partigiani repubblicani.
LA TESTIMONIANZA
È Barba a raccontare, nel riannodare i fili di una vicenda che si è persa nelle carte dei partigiani, che non aveva avuto nessun riconoscimento ufficiale per un incrocio strano di circostanze, ma che lui aveva comunque voluto raccontare due anni dopo i fatti. In seguito al messaggio speciale di Radio Londra Chi ha visto il mio cappello, (Di Stasio, ndr) provvedeva in unione con altri 5/6 elementi a far brillare una mina sulla statale 13, che provocava un ritardo di oltre venti minuti al deflusso delle truppe tedesche in ritirata. Preso sul fatto e condotto alla fucilazione, deve solo alla sua presenza di spirito ed agilità se è ancora vivo. Nel fuggire è stato ferito alla gamba sinistra.
Ma anche alla mano, sottolinea il figlio Fabio, che la storia di suo padre l'ha scoperta poco meno di una settimana fa: «Mio papà diceva che quelle ferite se le era fatte da bambino e io non ho mai indagato oltre. Quando gli chiedevo della guerra era generico nelle risposte, anche perché era del 1927 e non pensavo avesse partecipato in maniera così attiva. Nemmeno la mamma sapeva, neanche mio zio. Mio padre molto riservato e non gli piaceva mostrare tanto di sé, nemmeno quando in polizia gli erano toccati dei servizi di ordine pubblico abbastanza difficili: teneva distante gli aspetti delle sue scelte dalla famiglia continua Fabio Di Stasio Sono però sicuro che, spinto da principi di libertà, abbia scelto quel giorno di essere un uomo dello Stato. Nel leggere i fogli ho provato una sensazione di rispetto ulteriore per mio padre, sapere che lui comunque ha fatto qualcosa di importante è una soddisfazione mista al rammarico perché mi sarebbe piaciuto che me l'avesse raccontata».
E ora, quei fogli, che fine faranno?
«Resteranno lì, dove li aveva messi lui». Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino