"Se Venezia non avesse il ponte, l'Europa sarebbe un'isola”. Chi non ha letto o sentito pronunciare almeno una volta il celebre distico che racconta del...
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La dimensione poetica di Stefani (e poco prima della sua – o assieme alla sua, se si vuole intendere la Poesia come dimensione senza tempo – quelle di Diego Valeri e di Aldo Palazzeschi), fu sempre intimamente connessa con Venezia, le sue pietre, i suoi abitanti; sempre così carica di desiderio, di attesa, di trepidazione, d’amore. Impossibile citare qui i titoli delle sue opere, o elencare i riconoscimenti giustamente tributatigli nel corso della sua lunga e fertile attività di scrittore di versi.
Ma Mario Stefani non era solo un contemplativo: fece della poesia la sua arma più affilata per combattere la battaglia della salvaguardia della città, sul cui fronte si rese protagonista specialmente fra gli anni Settanta e Ottanta: la sua “Venezia more” divenne emblema del comitato no Expo, al punto che nel 1989 il Comitato “Venezia a misura d'uomo” guidato da Pier Andrea Gagliardi la fece tradurre in francese e imprimere su di un volantino con un disegno di Hugo Pratt, da recapitare a Parigi in segno di protesta contro la grande esposizione universale nel corso di una manifestazione alla quale partecipò anche l'allora sindaco Antonio Casellati. Quello stesso anno il giornalino a fumetti “Topolino” lo inserì in una storia – “Pippo, poeta contemporaneo” – in cui Stefani appariva come “presidente della poesia strampalata”.
“Venezia more” era già stata scelta da Giovanni Spadolini e Indro Montanelli per la pubblicazione, il 23 aprile 1970, sul Corriere della Sera: erano gli anni della contestazione contro lo scavo del canale dei petroli, e della presenza in laguna delle navi petroliere: “Fè qualcosa zente / i xe qua ieri e i xe qua ancuo / i studia i varda / i ciacera cussì a vanvera / e no se conclude niente / dovemo serarse in casa / par no vedar / la nostra çità sofrir?”
Nato a Venezia il 4 agosto 1938, si laureò in lettere con una tesi sull'Epistolario di Pietro Aretino; lavorò all'Università di Urbino, collaborò con il Gazzettino, l'Osservatore politico letterario, l'Arena e il Resto del Carlino. Fu insegnante alle medie inferiori e alle superiori. Assieme al suo impegno civico e politico (non aveva mai fatto segreto delle sue simpatie repubblicane e radicali), si distinse anche per il suo impegno verso il riconoscimento dell'omosessualità, malgrado Palazzeschi stesso avesse cercato di terrorizzarlo perché non pubblicasse poesie a tema omosessuale: fin dagli anni Settanta aveva abbandonato ogni convenienza, dichiarando la sua omosessualità, che a Venezia fu accettata e rispettata almeno quanto lo era lui.
Mario Stefani era un conversatore brillante: una fucina di aneddoti, battute, barzellette. La sua poesia fu allo stesso tempo molto istintiva – come emerge dal bel saggio “Mario Stefani e Venezia. Cronache di un grande amore” di Flavio Cogo, per i Libri di Gaia – ma anche molto consapevole: una poesia dotata di un’idea ben precisa di città. Stefani fu infatti un attento osservatore delle trasformazioni cittadine; le sue posizioni inequivocabili sui temi della salvaguardia e del turismo di massa seppero vedere (purtroppo vanamente, a quanto pare) molto lontano.
Stefani si tolse la vita nel suo appartamento veneziano di San Giacomo de l'Orio il 4 marzo 2001. Nelle settimane precedenti una mano anonima aveva vergato in molti punti della città una frase del poeta: “Solitudine non è essere soli. È amare gli altri inutilmente”. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino