Giovanni Battista Cipelli (1478-1553) umanista, accademico, latinista

Giovanbattista Cipelli nell'illustrazione di Bergamelli
“La città dei Veneti per volere della Divina Provvidenza fondata sulle acque, circondata dalle acque è protetta da acque in luogo di mura: chiunque pertanto...

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“La città dei Veneti per volere della Divina Provvidenza fondata sulle acque, circondata dalle acque è protetta da acque in luogo di mura: chiunque pertanto oserà arrecare danno in qualsiasi modo alle acque pubbliche sia condannato come nemico della Patria e sia punito non meno gravemente di colui che abbia violato le sante mura della Patria. Il diritto di questo Editto sia immutabile e perpetuo”. Basterebbero forse le sole parole dell'editto scritte ai primi del Cinquecento dall'umanista Giovanni Battista Cipelli – conosciuto col nome accademico di Egnazio – scolpite su una lastra di marmo collocata al Museo Correr ma originariamente murata dietro gli stalli dell’antica sede del Magistrato alle Acque, per raccontare del suo rapporto con Venezia. Il secolo di Pietro Bembo ed Erasmo da Rotterdam, di Gasparo Contarini e Aldo Manuzio vide a Venezia anche il contributo notevole di questo accademico (nato in città da una povera famiglia nel 1478), che seppe affrancare con lo studio la propria condizione iniziale di svantaggio dovuta alle umili origini fino a divenire oratore della Repubblica, priore dello Spedale di San Marco (nel 1510, per volere del doge Leonardo Loredan) e nel 1520 – alla morte di Raffaele Regio – maestro di umanità alla scuola di S. Marco della Cancelleria ducale, con una strana procedura che saltò il consueto concorso pubblico. Un privilegio che Cipelli seppe ben meritarsi, visto che mantenne la cattedra pubblica fino a settant'anni con una partecipazione incessante di discepoli, altri umanisti e semplici curiosi, al punto che gli fu concesso di tenere le sue lezioni nella sala grande dello Spedale.


Paradossalmente, a tanta notizia di partecipazione oggi si conosce ben poco del contenuto di quegli incontri: con certezza nel 1531 lesse le “Georgiche” di Virgilio, le “Lettere familiari” di Cicerone ed il VII libro della “Storia naturale” di Plinio, riservando parte della settimana al commento della lettera di San Paolo ai Galati. Assieme alla sua formazione di fine latinista e filosofo, maturata a Venezia sotto gli insegnamenti di Benedetto Brugnoli e Vincenzo Bragadin, già dall'adolescenza Battista Egnazio aveva avviato la sua carriera ecclesiale, ed era stato ordinato prete attorno al 1502. A diciotto anni fu già in grado – complice forse anche la sua estrema povertà – di aprire a casa sua una scuola privata di lettere; in poco tempo divenne una celebrità, scatenando la gelosia di Marcantonio Coccio, “Il Sabellico”, che nelle sue lezioni pubbliche cominciò a screditare apertamente il giovane “rivale”. Egnazio non si perse d'animo, ma criticò egli stesso ferocemente alcume interpretazioni errate dello stesso Sabellico su alcuni classici latini, correggendole addirittura in un testo che fece stampare ad Aldo Manuzio, per il quale era stato testimone della nascita dell'Accademia Aldina (col suo nome espressamente ricordato nello statuto). L'acuirsi dell'inimicizia tra i due studiosi terminò in maniera alquanto inaspettata: nel 1506 il Sabellico fu colpito “da grave infermità” e chiamò a sé Egnazio affidandogli il compito di correggere e pubblicare la sua opera “Exemplorum libri decem”, alla quale aveva dedicato gli ultimi anni della sua vita, sapendo che l'antico nemico era anche la persona più capace a cui affidare il proprio lavoro. Giovanni Battista Cipelli non si limitò a questo, ma alla morte del Sabellico ne recitò l'elogio funebre. Per una curiosa legge del contrappasso – sebbene in forme diverse e con altri esiti – in vecchiaia ebbe anch'egli a scontrarsi con altri studiosi più giovani: si racconta che un giorno arrivò a lanciarsi armato di coltello contro il filosofo Francesco Robortello, per una lite su motivi dottrinali; nel 1548 scacciò invece da casa sua un suo amico e discepolo, Pier Paolo Vergerio (che fu successivamente bandito come eretico). Vecchio e stanco, l'anno successivo il Senato gli permise di ritirarsi dall'insegnamento, conservandogli lo stipendio ed esonerandolo da ogni tassa. Morì a Venezia il 27 giugno 1553 e fu sepolto solennemente nella chiesa di Santa Marina.
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Il Gazzettino