Treviso. La fisioterapista «sergente maggiore e angelo con i capelli rossi» che ha guarito Red Canzian e il prof Vittorio Emanuele Parsi

TREVISO - Red Canzian l’ha abbracciata chiamandola affettuosamente “la mia torturatrice”. Parole dette con il sorriso dopo il lungo ricovero dell’anno...

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TREVISO - Red Canzian l’ha abbracciata chiamandola affettuosamente “la mia torturatrice”. Parole dette con il sorriso dopo il lungo ricovero dell’anno scorso al Ca’ Foncello che gli ha permesso di superare l’infezione al cuore. E la settimana scorsa Tiziana Panella, giornalista de La7, nell’ultimo periodo accanto al suo compagno Vittorio Emanuele Parsi, ricoverato in cardiochirurgia, l’ha ringraziata in diretta nazionale definendola “un angelo con i capelli rossi, che è un sergente maggiore”. Riconoscimenti che non possono che far piacere a Barbara Salvadori, 52 anni, fisioterapista della terapia intensiva cardiochirurgica dell’ospedale di Treviso. Evidenziano due aspetti del suo carattere: dolcezza e fermezza. Ma lei resta con i piedi per terra. E sottolinea che i ringraziamenti sono sempre estesi a tutta la squadra di cardiochirurghi, cardiologi, anestesisti, fisiatri, infermieri, fisioterapisti e logopedisti che ha dato vita a un percorso di riabilitazione unico in Italia.


Barbara Salvadori, quali emozioni si provano davanti a simili ringraziamenti?
«Fa piacere, ma vanno a tutti. Va subito specificato che per me e per i miei colleghi tutti i pazienti sono uguali. In ospedale non ci sono differenze. I ringraziamenti fanno piacere esattamente come quelli che arrivano da persone che non sono famose. In alcuni casi dopo essere tornati a casa sono venute a trovarci portandoci anche del pollo in umido o le trippe. Vuol dire che sono tornate alle loro vite. Oltre alle situazioni specifiche, la condivisione che si crea è davvero bellissima. Ed è qui che ci sono gli abbracci più belli».


In molti l’hanno riconosciuta nella frase della Panella: “Un angelo con i capelli rossi, che è un sergente maggiore”.
«Ho un carattere affettuoso ma anche deciso (ride, ndr) Servono entrambe le cose. Non c’è atrio senza ventricolo e non c’è ventricolo senza atrio. Nell’area critica le due componenti vanno bilanciate. Come un po’ tutto nella vita».


La riabilitazione permette di stringere rapporti anche stretti.
«Abbiamo sviluppato un percorso unico in Italia. Prendiamo in carico i pazienti a tutto tondo, già prima dell’intervento, sia in fase acuta che per quelli programmati. E poi continuiamo a seguirli tra la terapia intensiva e la cardiochirurgia. Così magari capita anche di conoscere le varie vite, ascoltare racconti, guardare delle foto che vengono mostrate con orgoglio e così via».

Da dove è cominciato questo percorso?
«L’idea è partita poco prima del Covid. La direzione generale dell’Usl in accordo con i primari e i vari professionisti ha deciso di inserire il fisioterapista in area critica. L’attività è iniziata nella terapia intensiva generale, sviluppando progetti riabilitativi calibrati su ogni paziente, sia per la parte respiratoria che per quella motoria. E poi l’attività si è allargata ai pazienti cardiochirurgici, più la parte ambulatoriale».


Per lei lavorare in terapia intensiva è stata una scelta o un caso della vita?


«Amo il mio lavoro. Sono entrata in ospedale nel 2001, passando alcuni anni in ortopedia a Oderzo. Poi è nata la passione per la terapia intensiva. Ho lavorato nel reparto riabilitativo di Treviso. Quando c’è stata l’occasione ho iniziato nell’area critica. Devo dire che la mia passione è stata agevolata dal primario Marco Gugelmetto (direttore del dipartimento di riabilitazione, ndr). Questo mi consente di fare un lavoro che mi piace, in un posto che mi piace e con professionisti di altissima qualità con i quali mi trovo benissimo. E non faccio niente di diverso da quello che fanno tutte le mie colleghe e gli altri professionisti. Siamo una squadra. Ognuno fa il proprio, ma i pazienti ci vedono sempre uniti». Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino