Nemmeno 2 buste con proiettili, inviate sia al super-testimone che ha fatto riaprire il caso, sia al pm che conduce l’inchiesta, bastano a mandare in prigione i giostrai...
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IL COMMANDO
Gli inquirenti lombardi contestano al 41enne di aver fatto parte del commando che, durante l’assalto all’oreficeria del piccolo centro mantovano, prima assassinò il commerciante Gabriele Mora e poi scaricò il bandito veronese Rudi Casagrande davanti all’ospedale di Thiene, ormai prossimo al decesso a causa delle ferite riportate nel conflitto a fuoco. Secondo la tesi accusatoria, con lui ci sarebbero stati anche i vicentini Adriano, Danilo, Giancarlo e Stefano Dori. A chiamarli in causa, due decenni più tardi, erano state le rivelazioni di un nomade e le intercettazioni telefoniche. Tutti riscontri ritenuti «idonei a integrare i gravi indizi di colpevolezza», ma insufficienti tanto per il Tribunale di Mantova quanto per il Riesame di Brescia a giustificare le esigenze cautelari, al punto che la stessa Suprema Corte aveva successivamente escluso l’attuale sussistenza dei rischi di inquinamento delle prove e reiterazione del reato.
L’IMPUGNAZIONE
A quel punto era però scattata una nuova impugnazione da parte del procuratore, sulla base di un elemento nuovo e inquietante, che trapela ora dalle motivazioni della Cassazione: il recapito di buste con proiettili sia al testimone, che al pm, fra l’altro proprio nel giorno in cui il magistrato aveva sentito in audizione i genitori del giostraio morto, i quali avevano riferito «di non ricordare o di disconoscere il contenuto di conversazioni tra loro captate» e per questo avevano rifiutato di sottoscrivere il relativo verbale. Ma secondo gli “ermellini”, pur convinti che quegli atti intimidatori fossero «rivolti a contrastare gli sviluppi delle indagini», i giostrai indagati «potrebbero essere tutti estranei all’ideazione e all’esecuzione» delle minacce. Per i giudici a mandare il grave avvertimento potrebbero anche essere state altre persone, «che ugualmente avrebbero potuto sentirsi in pericolo, personalmente o per ragioni affettive», a causa degli accertamenti. E siccome «non può farsi gravare a carico di taluno la tutela di una sorta di rischio ambientale», i sospettati tali rimangono, ma liberi. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino